venerdì 12 luglio 2013

non fotografare...

Riporto quanto scritto in quarta di copertina di questo libro, scritto da Ando Gilardi e Pino Bertelli; non li conoscevo fino a prima di comprare il libro. I soli testi di copertina valgono la lettura di tutto il libro.


Non fotografare gli straccioni, i senza lavoro, gli affamati.
Non fotografare le prostitute, i mendicanti sui gradini delle chiese, i pensionati sulle panchine che aspettano la morte come un treno nella notte.
Non fotografare i neri umiliati, i giovani vittime della droga, gli alcolizzati che dormono i loro orrobili sogni. La società gli ha già preso tutto, non prendergli anche la fotografia.
Non fotografare chi ha le manette hai polsi, quelli messi con le spalle al muro, quelli con le braccia alzate, perché non possono respingerti.
Non fotografare il suicida, l'omicida e la sua vittima.
Non fotografarel'imputato dietro le sbarre, chi entra o esce di prigione, il condannato che va verso il patibolo.

Non fotografare il carcieriere, il giudice e nessuno che indossi una toga o una divisa. Hanno già sopportato la violenza, non aggiungere la tua. Loro debbono usare la violenza tu puoi farne a meno.
Non fotografare il malato di mente, il paralitico, i gobbi e gli storpi. Lascia in pace chi arranca con le stampelle e chi si ostina a salutare militarmente con l'eroico moncherino.
Non ritrarre un uomo, solo perché la sua testa è troppo grossa, o troppo piccola, o in qualche modo deforme. 
Non perseguitare con il flash la ragazza sfigurata dall'incidente, la vecchia mascherata dalle rughe, l'attrice imbruttita dal tempo. Per loro gli specchi sono un incubo, non aggiungervi le tue fotografie.
Non fotografare la madre dell'assassino e nemmeno quella delle sue vittime.

Non fotografare i figli di chi ha ucciso l'amante, e nemmeno gli orfani dell'amante.
Non fotografare chi subì ingiuria: la ragazza violentata, il bambino percosso. Le peggiori infamie fotografiche si commettono in nome del "dirittio all'informazione". Se è davvero l'umana solidarietà che ti conduce a visitare l'ospizio dei vecchi, il manicomio, il carcere, provalo lasciando a casa la macchina fotografica.

Come giudicheremmo un pittore in costume bohemienne seduto con pennelli, tavolozza e cavalletto a fare un bel quadro davanti allla gabbia di un condannato all'ergastolo, all'impiccato che dondola, alla puttana che trema di freddo, a un corpo lacerato che affiora dalle rovine? Perché presumi che il costume da free-lance, una borsa di accessori, tre macchine appese al collo un flash sparato in faccia, possano giustificarti?

martedì 9 luglio 2013

ancora Corigliano

Dalle cose ci si distacca. Non sei sempre tu a deciderlo e meno male, vuol dire che sotto pelle qualcosa lavora anche quando pensi di essere in pausa.
Non ho motivo ora, e ancora, di fare bilanci, eppure un confronto con quanto sia cambiato io negli ultimi quattro anni mi sembra normale. Il mondo non cambia, come dicevo qualche giorno fa a …, semmai noi cambiamo nel mondo! tutte le frenesie iniziali sulla fotografia, vedi la ricerca del genere, l'edonismo dell'autocompiacimento, l'accanito inserirsi nei privé mediatici della fotografia, quel virale (finto) bisogno di instaurare un legame col proprio modello, ed ancora la malsana linea guida progettuale come pure il senso puramente consumistico ed estetico dell'immagine, tutto questo, tutto l'essere legati alla fotografia in senso amatoriale, se ne sta andando. Non mi hanno offerto nulla di successo, sia chiaro, resto ancora nei miei spazi quotidiani…

Ancora una volta Corigliano e il suo festival di "quelli che la fotografia" ha voluto giocare un ruolo chiaro sulle mie fantastiche allucinazioni.
Di diverso o nuovo anzitutto il mio approccio. Il castello, le sale, la scalinata, l'atrio, non mi hanno emozionato. Ho salutato poche persone, quelle a tiro. Mentre ero li mi è venuta voglia di non essere li a fare quello per cui ci ero andato, avrei preferito essere in una oziosa vacanza. E la sola ragione che mi ha spinto a sedermi su una sedia difronte alla stessa persona di un anno prima è stata: perché no?
Di Denis Curti ammiro la capacità di parlare di fotografia mettendoci dentro anche le tue fotografie senza farsene accorgere. È questa è una cosa straordinaria, sul serio! Ti apre una finestra, ti mostra lo spettacolo fuori, e tu capisci dove ti trovi in quello spettacolo, che ruolo giochi.  Poi come se niente fosse ti può dire che sta aspettando di vedere un giorno davanti a se la grande bellezza, e non puoi che essere d'accordo, perché infondo almeno un comune denominatore nelle speranze di tutti noi solitari, eroici, ammalati artisti c'è: ritrovarsela  davanti, la grande bellezza.