giovedì 30 giugno 2011

benedusi#3_li faccio rinascere

7:55
Ho capito. Stamattina è arrivato il senso di questi giorni, le parole di Settimio, il perché, la verità, la storia. Ed è vero: ti si apre il mondo. Ho capito perché nelle mie immagini c'è qualcosa che non mi piace, che manca. Ho sempre confuso la costruzione estetica di una foto con progettualità. Pensavo al risultato finale veicolato da mezzucci, stratagemmi, tecnicismi che mi portassero a quel punto, invece la chiave, vaffanculo!! è prima, il figlio è la conseguenza naturale non di uno spermatozoo figlio di puttana che ce l'ha fatta, ma di un'idea che sta prima e prima ancora: avere un figlio. E per dirla alla Benedusi: tre parole, ne ho risparmiate due.
Ho scritto i miei due progetti, questa volta la parola progetto non mi spaventa, cinque parole ciascuno. Non me ne fotte di provare obiettivi, luogo, diaframmi, chi se ne fotte: CHI SE NE FOTTE!
... cazzo mi sta venendo da piangere

benedusi#2_li faccio piangere

Sono bloccato!
Stasera ho voglia di parolacce, di dirmene quattro come dovere e senza filtro, perciò "Lettera a me stesso#2"

Caro Nicola, ma sto pippone del blocco che cazzo vuol dire? Blocco di che? Ieri sera ti sembrava di aver trovato la genialata, oggi ti salta fuori un piano alternativo che di alternativo ha l'autodistruzione e tanti saluti e sono a sti tre giorni. "La butto sull'humor" hai detto, ma hai capito dove sei? Domani è finito, si smonta e si ritorna a casa. O la fai qui questa cosa o non la fai più, vale per te come per quel povero cristo martoriato oggi. Ma poi tutto sto complicarsi, ma l'hai vista la diciasettene primavoltachefacciofoto cosa tira fuori? Rotto i coglioni con i castelli, le acrobazie filosubconscio. Sei pari a quell'imbecille che inciampa su se stesso. Ci stai a pensare troppo e sai cosa vuol dire questa frase. Fa la cosa. Punto.
La traccia ce l'hai e vedi di non metterci altra roba dentro che non serve, anzi semplifica. Aiuta quelle poverette che domani dovranno decodificare le idee di questa nuova classe di artisti. Ah! quella cosa dei vestiti lascia perdere, detto in amicizia allo stato in cui ti trovi farebbe un danno enorme. Vattene a letto, il caldo, le zanzare...niente appunti su oggi, magari te li segni fra qualche giorno e se non te li ricordi chissenefrega!
Fa la cosa. Punto

mercoledì 29 giugno 2011

benedusi#1_li sconvolgo

Si arriva in un posto, sai che incontrerai delle persone sconosciute, ci sarà da lavorare, pensare e dire e guardare, un tizio con la montatura scura e la voce da basso esordirà dicendo che non ha nulla da insegnare perché noi non abbiamo nulla da imparare, lo conosci questo approccio, da quando segui il suo blog? ti sembra di avergli fatto sempre da assistente tanto quello che dice ti sembra familiare e assorbito dalle sue e mille altre letture. Quando lo vedi arrivare lui ti saluta presentandosi e tu pensi lo so chi sei, ma hai una vaga idea di quello che scateni Benedusi? Ti maledicono e idolatrano, io filtro tutto e mi prendo il meglio, quello che mi serve per aprire quella porta che io stesso ho costruito.
C'è il rito dell'inizio, le formalità e le prima parole da ricordare, me le scrivo a stampatello sottolineato sul block note anche se le conosco, sai mai la memoria facesse scherzi. Domani, giuro, ti conterò tutte le volte che dici fondamentale, non so quanto lo hai ripetuto oggi, ma sarà un simpatico gioco, nulla più.
Sono in un posto che pare voglia dirmi tante cose, prendimi, usami come mai nessuno prima di te, le vedi quelle due modelle lì? falle fare quello che desideri, ci staranno perché sono qui apposta. Non mi convince ma sono vulnerabile adesso. Lo siamo tutti, a turno, per quei primi cinque minuti. Non ho una progettualità e confondo l'idea con il desiderio. Meglio! La lama di Settimio arriva dove doveva, la stavo aspettando da anni, è accaduto che è giunta per voce sua ma poteva essere chiunque altri. Siamo intorno a lui quando ci dice che vaffanculo il posto, la locations, le belle stanze, i culi e le tette, i flash, la luce...La luce!
Fa una cosa per rispondere ad una provocazione, sostituisce una modella con una delle ragazze che fotografa, forse una paraculata alal buon caro Settimio, ma non mi importa, io prendo quello che mi serve e bang! ragazzi mi fa emozionare perché lo riconosco, so quello che sta facendo alla non-modella, perché le parla in quel modo, mani sulla spalla e mi senti io sono qui fidati, guardami. Guardami!
La vedi la chiave?Si, sta a cinquanta centimentri da me e si chiama Verità. L'ho usata, in altri contesti, con altre persone, altri corsi, sul palco.

Quello che scrivo stasera lo capirò solo io... Domani sono previste le lacrime, e se mi approvano quello che voglio raccontare, visualizzato mentre ero sotto la doccia poco fa, se ne sono ancora convinto io, sarà un salto coi cazzi.

venerdì 24 giugno 2011

a un passo da...

ridimensionarmi o essere ridimensionato. La seconda porterebbe i cambiamenti più devastanti.
Sono lì, sul ciglio di un baratro a godermi lo spettacolo che ho di fronte ritardando, quasi non mi toccasse, l'attraversata. Sarò noioso ma uso ancora il teatro per i paragoni...
I laboratori che ti rivoltano, quelli dove te ne esci con le ossa rotte e poche lacrime perché le hai versate quasi tutte, hanno come prerogativa principale la ri-appropriazione e consapevolezza del proprio corpo. Come? Si chiama destrutturazione. Un regredire lento allo stato istintivo, primario, una visione di pura follia per chi osserva e non sa quello che sta accadendo. Per usare una metafora del cazzo è come togliere le parole da una pagina di libro, riportare allo stato vergine il foglio e, con la coscienza del significato di ogni parola, riscrivere una pagina migliore, diversa. La cosa più interessante sta nel ripetere l'operazione, di riscrittura, il numero di volte che ci aggrada alla sperimentazione, conoscere lo strumento corpo (il corpo è anche voce, ricordiamocelo!) e farlo esprimere al meglio di quanto gli è concesso con i propri limiti.
In Shine l'insegnante suggerisce: devi imparare Rachmaninov e scordartene, essere padrone della partitura tanto da non dovere pensare di fare lavoro di richiamo della memoria ma solo di esecuzione.
Quello che so di fotografia ha il sapore di nozioni tecniche, di accademico, con il disagio continuo di non interiorizzare ogni nuova lezione. Per assurdo, mi muovo per istinto ma è un istinto indisciplinato, superficiale, non regolato dall'auto-appredimento, in buona sostanza sopravvivenza. Pensavo di essere una spugna, con buona capcità di assorbimento, scopro invece con dispiacere di compattare e ammassare tutto il bagaglio (in)formativo in angoli della mente e spesso a dimenticarlo lì. L'operazione di recupero diventa sempre più faticosa e allarmante.

Facciamo finta per un istante che so di fotografia quell'abc necessaria che mi permette di muovermi a carponi nelle stanze di casa. Osservo intorno a me individui con un equilibrio diverso dal mio, bipedi allungati; io uso piccoli trucchi per non rovesciarmi da un'altezza minima oltretutto, e mi perdo la corsa, i salti, le cadute, la danza, il ritmo e la visione della postura eretta. Ci sono degli ostacoli che non oso ancora superare. Guardo in una direzione comoda mentre uno specchio velato di vapore continua ad infastidirmi ricordandomi cosa continuo a non voler vedere.

Sono ad un passo dalla destrutturazione fotografica; affrontare la visione sintetica e un po' puttana di una passione che ho eretto a difesa e virtù di un ego da confortare giornalmente in ragione di una onestà tagliente e diretta eppure liberalizzante.
Presto dovrò fare i conti con questo dubbio: continuare a fingere che la fotografia mi porterà nella direzione di scelte consapevoli incluso l'edonismo artistico, oppure essere sul percorso senza morbosamente ripetermi che figata che è la fotografia!

martedì 14 giugno 2011

monday

Ci sarebbero mezza dozzina di post che vorrei scrivere, almeno un paio riguardo il weekend lungo a milano, ma questa settimana sarà dura e il prossimo bagno caldo non so quando lo farò, figuriamoci i post...
La parte noiosa di me che si trascina gli schemi regolari della mia vita precedente suggerisce di scriverli per ordine, secondo logica data, ma infrangere le mie stesse regole è il massimo della perversione che mi concedo, perciò post su la giornata di ieri.
Dopo più di un mese di pausa, Tiziana, la mia amica truccatrice, ha minacciato seriamente di picchiarmi e togliermi il saluto se non si riprendeva a scattare per il nostro progetto comune. Non sarebbe capace né dell'una, né dell'altra cosa, ma, constatato che anche quando si impone ha un suo perché di piacevole, ho ritenuto che avesse ragione.
Ha avuto ragione anche sulle previsioni: volevo scattare in studio in mattinata e usare la luce del tardo pomeriggio per gli esterni. Le mi dice che nel pomeriggio piove e bisogna invertire, io gli replico che finché lei e parruco non finiscono e ci spostiamo a Matera si arriva tardi e col sole sulla verticale, lei mi guarda e ripete secca: oggi piove. Quando nel pomeriggio è venuto giù il diluvio eravamo al riparo nello studio, come lei voleva, ed io mi sono tenuto lontano dall'argomento meteo.
Miriam è la seconda volta che la fotografo. E' parecchio timida a dispetto della sua fisicità. A tratti il suo viso è attraversato da espressioni stupende che durano un nanosecondo; non ne becco alcuna e quando provo a riportarla lì non raggiunge mai quell'attimo: naturalmente non è una modella, fa tutt'altro nella vita. Ha un buona dose di umiltà e un pudore sopra la media delle sue coetanee. Ho rivisto gli scatti a monitor solo nella tarda serata di ieri, imprecando su alcuni erroracci e grato di avere comunque anche buone foto. Ho scattato anche in pellicola, sia 35 millimetri che 6x6, tanto per non farmi mancare il suono delle meccaniche. Mancano invece foto di backstage, le pochissime si sintetizzano in quelle sotto, due delle quali fatte dalla sorella di Miriam non avendo idea di come si mette a fuoco una 5D con sopra un 70/200 stabilizzato: spero sia culo! L'ultima foto è uno degli scatti non ancora postprodotti, il resto dovrebbe arrivare fra qualche giorno.










giovedì 9 giugno 2011

tweet

Milano-Ingresso Triennale. H 10:18
E' mai possibile che negli ultimi mesi io debba lasciare la puglia imprigionata nel grigio delle pioggie e giungere "su" al nord per ritrovarmi perennemente senza sole? Le previsioni per queste tre giornate milanesi portano acqua. Auguri!
Ho un leggero torcicollo per la nottata in treno. Manca una decina di minuti all'apertura: mi aspetta Michel Comte oggi e poi al Fnac per Viktoria Sorochinski (lei non la conosco). Stasera al Slideluck Potshow, motivo principale per cui sono a milano: stanotte da Silvia dormirò di peso!
Ho ancora l'Olympus in assistenza, ragion per cui mi sono fatto prestare una Minolta dall'ingegnere, caricato una T Max 400 e vediamo di ribaltara in positivo questa pioggia.

Post strano, lo so, ma in wifi non mi caricavano twitter.

martedì 7 giugno 2011

senza perdere la tenerezza

Questo è il titolo del libro biografia di Che Guevara, penso non l'unico, ma è quello che ho io.
Da qui è stato tratto il film I diari della motocicletta e racconta anche, e non solo, di un Che giovane. Il titolo è determinante, e l'estratto di una frase più lunga: Bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza.

Nella mia vita, sulla mia pelle - e presto anche sui muri del mio studio - sono scritte delle frasi che sono per me dei veri dogmi: il paradosso dell'albero, che spesso ho inserito nel mio non semplice approccio affettivo; l'inciso del direttore Sandro Iovine, di cui magari un giorno posto la sua vera grandezza almeno secondo il mio punto di vista; da poco si sono aggiunte altre frasi che si stanno rivelando maestre di strada. Tuttavia un legame forte lo provo verso la prima legge della fisica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Essendo fortemente eccitato al solo udirla e quindi immaginandomi il suo sviluppo, non posso essere immune alle speculazioni fantastiche della Teoria del Caos, il Principio di Indeterminazione e il libero arbitrio. Con intervalli sempre più frequenti e tangibili sto spingendo la legge -azione/reazione - verso una artificialità, ovvero: provocare l'azione. La frase di questo periodo è provocare gli eventi. Non mi interessa sapere se è giusto o sbagliato, quanto sia realmente arbitraria questa manipolazione. Ad un certo punto prendo consapevolezza del fatto che decido da me. Sento che incontrare, osare, provocare, mi da molto, più che sperimentare in privato; dal livello del sogno scendo a quello concreto: non più a chiedermi cosa accadrebbe se… ma a farlo. Se ripenso alle ultime due giornate, ai contatti e di chi sono figli, nipoti e discendenti, trovo come risposta una sola e uguale verità: tutto è partito da un incontro non (apparentemente) voluto ma che ho forzato a fare accadere, spesso per non darla vinta alla pigrizia. Perciò ritengo sia importante spingerci oltre le comuni amicizie, ai comuni percorsi quotidiani - non so a quanti capita di percorrere sempre le stesse strade ogni giorno; poiché mi piace molto camminare quando mi accorgo di questa monotonia cambio direzione e mi avventuro per vie diverse anche se più lunghe - , oltre le vigliaccherie che ci proiettiamo o che ci attribuiscono e fare in modo di essere l'esperimento di noi stessi, la particella impazzita che nell'indeterminabilità del caos ha una ragione determinata.
Qui ritorna la premessa sul Che.

A livello atomico abbiamo teorie, principi, leggi. Sebbene lontano da qualsivoglia potenza religiosa, con piacere sostengo un'idea spirituale dell'io. In questo livello c'è il rispetto, l'educazione, l'amore, la commozione, il dolore (emotivo) la rabbia, noi come siamo insomma. Senza perdere la tenerezza dovrebbe essere lo stato in cui farsi trovare ad esperimento finito, o meglio, non perderlo mai. La psicoanalisi e le sue pragmatiche sentenze comportamentali spesso mi danno sui nervi. A trentasette anni ho ancora bisogno delle mie dosi di cartone animato, dei miei momenti di imbecillità, della mia faccia da cazzo quando dico e sento assurdità; senza ciò non vedrei il mondo così come lo registro io, ed un mondo fighissimo da qui, non so a voi ma a me fa battere il cuore.


Paco Ignazio Taibo II Senza perdere la tenerezza
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