mercoledì 20 luglio 2011

rooms

Ci sono stagioni che non si dimenticano, ti restano dentro vive, speciali, brutali come ferite. L'estate 2011 è già fotografia. Vorrei poterla scattare davvero, mostrarla, parteciparla a quante (specifico "quante", femminile) negli ultimi quindici giorni hanno subito questa mia marea nera ascoltandomi. Ma è impossibile, potrò solo raccontarla al pari di un ricordo nostalgico. Col tempo.
Ho creato un silenzio insopportabile intorno a me, per sentire meglio, e in questo spazio bianco ieri sera ho scoperto il suono della mia voce. Un desiderio di dialogo che prima non provavo. Abbiamo parlato a lungo di noi, argomenti intimi anche. Eravamo due ciao come va? prima e ora siamo due che si sono guardati negli occhi e raccontato. Mi ha promesso, nell'imbarazzo, che si farà fotografare, per il mio progetto: odio l'immagine fotografica di me, ma ok proviamoci. L'ho ha detto rimbalzando lo sguardo ovunque, timorosamente bella.
Il mio desiderio di fotografare è cambiato. Prima del workshock ( Fra deposita la paternità della parola e guadagnaci qualcosa!) la risposta al Perché fotografo? sarebbe stata comunicare qualcosa di mio. Adesso fotografo per instaurare un rapporto con gli altri, conoscerli, raccontare di me, è ciò non escluderebbe la vecchia risposta. La pratica fotografica finalizzata all'estetica per ora mi è stucchevole, tornerà col tempo, magari col lavoro se tornerà anche quello.
Ho scritto un progetto, esiste pur non avendo fatto foto e vivrà al di là delle foto. Sarà un viaggio e come il migliore dei viaggi devo preparare bene il bagaglio prima di partire. Lo affronto con l'ansia e le paure che mi contraddistinguono eppure con la lucida inevitabilità del cavaliere che si accinge alla battaglia.

Mi rendo conto che questo spazio è cambiato. I post sono divenuti man mano sfoghi, anche incoerenti, ma forse più figli del titolo che li racchiude tutti. Come pensieri passo da un argomento all'altro, di stanza in stanza. Stanze, ecco un'altro viaggio che farò…
Ho caricato sul sito alcune delle immagini fatte a Corigliano. Essendo il mio provider tirchio di spazio, ho messo su solo alcune e private della composizione finale che ho scelto. Ma troveranno il loro luogo. Qui una della serie.

venerdì 8 luglio 2011

a…

a memoria di chi ascolterà voglio dire
a Gaetano e Cosmo, per il sudore e le bestemmie che da dieci anni li fa credere in Corigiano per la Fotografia;
a Pasquale, assistente magnifico di Settimino, una scoperta, vicino di casa e subito amico;
a Erica, modella dall'intelligenza robusta e fiera, che non ti guarda nel mirino ma negli occhi;
a Brigida, i suoi occhi lucidi e la bellezza del suo non essere ancora donna;
a Ovidio, compagno di sedia che per tre giorni ha raccontato in giro di leggere il mio blog con la simpatia che lo contraddistingue;
a Arianna, modella riservata, se la sai prendere ti parla di sé, di disegno e pittura;
A Peppe, il suo non capire e insistere era lo specchio della nostra arrogante bugia;
a Calogero Russo, la sua squisita sicilianità, la sua visione della cosa;
a Martina diciasettenneprimavoltachefotografo, al suo papà che l'ha portata fra noi;
a Anna la poetessa, la sua voce e il sigaro;
a Alfonso, dapprima per me solo allestitore mostra, poi la scoperta di un sapere fotografico enorme, il libro che mi ha consigliato, suo figlio Giosué, diavoletto di circa sette anni che per allontanarlo dalle modelle che dovevano spogliarsi gli ho scattato due ritratti;
a Mena. professoressa di religione che vuole veicolare la fotografia nelle sue lezioni;
a Michele e Francesco, compagni di opinioni e battute sul tragitto verso il lido dove pranzare;
a Elena e i racconti del suo viaggio in Nepal, la sua risata;
a lo sconosciuto con la barba seduto dietro me, mentre lo salutavo mi ha ringraziato perché gli avevo fatto un ritratto, e ad una mia frase che deve averlo colpito mi ha abbracciato sul punto di piangere quasi gli avessi salvato la vita;
a quanti qui non menziono per bontà della mia memoria, sappiate che ci siete;

a Settimio, che ho visto insistere su chi ne aveva più bisogno, piantare il seme della continuità, vestire il ruolo responsabile di chi guida e insegna:

GRAZIE.



giovedì 7 luglio 2011

medium

Nel 2004, per i miei 30anni, un gruppo di corsisti del laboratorio teatrale, trovandosi nell'imbarazzo di "dovermi" regalare qualcosa, pensarono bene di andare sul sicuro. Mi portarono un libro. In copertina una foto di Andy Warhol che scatta una polaroid di se stesso, più in alto un titolo preciso: Le idee della fotografia. E' scritto piccolo, non c'è una sola foto dentro ed è un saggio. Che palle! Quest'ultima cosa potrei anche non averla pensata, ma se è rimasto sulla mensola dei libri per sette anni un qualche moto di repulsione povrei averlo vissuto.
I libri ci scelgono. Lo credo sul serio. Per me non accade solo all'acquisto. Il rito inizia lì ma si perpetua sulla mensola. Ti chiamano, ti dicono ora tocca a me, ora sei pronto per me. Quelli che pensano che esagero o che vado di matto non vivono la lettura come qualcosa di indispensabile, e personalmente mi fanno tristezza.
E' scritto piccolo, non c'è una sola foto ed è un'antologia. Cazzo ci metterò una vita! Questo si, l'ho pensato. Come pure mi è parso di pensare, sperare, che troverò molto di quanto mi sta accadendo. Marra adotta il termine di medianità per esprimere il concetto fotografia, e l'uomo artefice, che traduce il concetto, è medium del processo. Ho fatto mia quest'adozione. Medium. Il fotografo è medium. A pochi giorni da quell'atto che ho chiamato nascere è cambiato poco. Sta sfumando al grigio il colore di quelle giornate di workshop, ma i contorni, il bordo scheletrico e portante della rivelazione si indurisce. La guerra è tutta dentro, fuori sono pervaso da una calma lentezza, la simulazione del quieto sociale, lo scudo che farà silenzio intorno a me. E so di non essere solo in questa ricerca di silenzio, di verità. Non ho ancora aperto gli appunti presi la scorsa settimana, Verità ricordo bene di averlo scritto. Pure non ho più aperto le foto del mio progetto: sono in una cartella sul computer, ne provo soggezione perché ricordo con forza come sono nate, il vero che le ha generate. Mentre scattavo avvertivo le bugie fotografiche che avevo fino ad allora realizzato, ne provavo - ne provo - vergogna. Ho sbirciato nel pozzo, per una frazione di secondo ho visto ed è bastato. Ho visto anche la distanza che mi separa dal mio vero, ma non il sentiero. La parola verità continua a bruciarmi sulla pelle come un tizzone vivo e ne sono grato. Sono vivo. Sento il mio respiro. Non posso raccontare il vero se non evoco le verità dentro me, se non mi libero della plastica interpretazione di ciò che sono ora. Rigetto il comodo, l'artificiale, il piacente, il ruffiano, il verosimile… lo vomito fuori con forza fino a farmi male. Sappiatelo, sto per urlare.

domenica 3 luglio 2011

annozero

Sono nato ieri. il mio stomaco è un groviglio di serpenti che si muovono lentamente, una matassa di vite che ne formano una sola. Questo nascere è stato venire al buio. Mi concentro e i suoni intorno a me sono ovattati, non distinguo niente, è tutto fuori fuoco. Ci sono esseri che si muovono e parlano, si rivolgono a me dandomi compiti, versano parole che non ascolto perché io non mi sento le gambe, avete capito? non mi sento le gambe. Sono qui da poche ore e il mio corpo è solo un pensiero dentro una scatolacorpo. Dove sono i miei vestiti?

Non voglio nascere. Ho paura. Non voglio scendere in quel buio, mi viene da vomitare. E' una bile di immagini e ricordi intaccati dai vermi. Non lo voglio sentire il gelido dell'origine. La mia vita la ricordo. E' stata credere, volare, ero forte. L'eroe. Ma ad un certo punto è accaduto qualcosa, mi sono ammalato di un virus che ha mille nomi. Si è insinuato attraverso gli occhi, la parte esterna più sensibile del mio corpo, si è fatto strada, nutrito, infettato e se abbia preso prima il cuore o la testa non lo so, da quel punto in poi la vita è stata un cancro. Ho un cancro. Quando tocco il mio corpo provo fastidio. Ho censurato l'origine della cicatrice con il desiderio di integrazione sociale. Mi sono abituato a tutta questa luce che si indossa come un vestito aderente, preserva la forma senza mostrare la pelle, protegge dall'abbandono dei sensi. Perché devo guarire? Non ci sono medicine per l'anima. Non voglio nascere!

Mi ricordo questo livello dell'esistenza. L'ultima parola che ricordo ha due segni: IO. Poi mi sono ammalato. Ricordo com'era.
Ogni volta che mi sveglio sento di nascere per la prima volta.
Un parto anestetico, ogni volta speciale, eternamente ripetuto.
Eternamente ripetuto.
Nascere silenzioso.
Come bolle d'aria che risalgono dal mare.
E poi il respiro.
La prima cosa.
Lo sento, mi appartiene.

Le prime volte avvertivo ostilità. Identificavo le cose con lentezza, sforzo. Ora è più semplice: mi basta guardare. Ripeto lentamente due, tre volte i nomi, arrivo a sillabarli fino ad allungare il suono, esasperare le vocali...
esasperare le vocali.
Ogni suono diventa pesante, il nome inutile, il significato insignificante.
Sono diventato una bilancia.
Quantifico ogni lettera che mi appare, ogni parola.
Ho scoperto l'unità di misura delle parole.
È l'anima.
La mia è sensibile.

Ho poche cose nella mia stanza, niente che mi appartenga. I muri sono dipinti di bianco, come il letto, come i fogli che mi lasciano tenere.
Poi c'è il nero, ed è nero tutto il resto.
Il mio mondo ha solo due colori.
Il mondo ha solo due colori.

Mi chiamo IO
Mi hanno chiamato così.
Gli serviva un segno, un suono, definirmi, imprigionarmi dentro delle lettere per essere sicuri di avermi racchiuso nella loro microconvinzione di controllo, creatori universali.
IO
Breve e supremo.
Matematico.
Logico.
Acceso o Spento.
I - O
I, quando apro gli occhi. Ogni gesto una scoperta. Sento l'eco del mio respiro.
Che lettera è il respiro?
È una delle cose che mi piace, il mio respiro.
È perché non riesco a definirlo con delle lettere, non riesco a pesarlo con il mio metro.
I, quando guardo, quando sto fermo in piedi e aspetto che il corpo si muova senza comando. Mi lascio cadere, sollevo un arto, rotolo e mi arresto.
I, sono le grida, le vocali allungate, le giunture delle ossa che suonano.
I, sono il meccanismo dei miei pensieri
I è tutto il bianco, tutta la luce
I sono le secrezioni del mio corpo, quelle naturali, quelle che richiamo con la mano
I è il mio corpo dolorante, la fatica
I è uno stato di energia dentro di me che vuole uscire
I è piangere
I è tutto quello che so, e metà di quello che sono.

O, è tutto il resto.
L'altra metà, quello che non so.
Morte.
Morte?
Mor-te.
Moo-rtee.
Mooorteeee.
Mooooooorrrrrrrteeeeeeeeeeeeeeeeeeee


Anno zero, giorno primo.

Che nome devo scrivere?
Nicola.