domenica 20 marzo 2011

destabilizzato

Credo di non aver mai avuto così tanto timore della fotografia come ieri sera.

Mesi fa, sul suo blog, Toni Thorimbert suggeriva di non perdersi The September Issue. Di questi suggerimenti io mi fido.
Mi è arrivato in settimana insieme ad altra roba dell'ultima wishlist e ieri sera me lo sono visto.
Anna Wintour non sapevo nemmeno chi fosse e il regista R. J. Cutler ha realizzato un documentario accattivante anche se ci metto un briciolo di discutibilità.
Perché timore?

Primo
Spesso si perdono le proporzioni di quello che si vuole fare e con chi bisogna avere accheffare. Sto scoprendo in questo periodo il termine bocciare. Onestamente, sono sempre stato un secchione (inconsapevole) e non ne sono abituato. La Wintour ieri bocciava con una freddezza impressionante, lo stesso è accaduto recentemente per alcune mie immagini o esposizioni di idee (non dalla Wintour, naturalmente).
Quelli con il talento vero si contano, il resto è massa coi suoi microinsiemi.
A voler sentirsi artisti a tutti i costi ci si può far male, e ammettendo di esserlo veramente siamo soggetti a promozioni e bocciature comunque, vuoi per gusto della clientela, vuoi per cultura, momento storico o tendenze, vuoi per incontri fortunati o sfortunati, vuoi per alchimie caratteriali dei nostri giudici. Sempre ieri, in altri due momenti diversi della giornata mi sono imbattuto in conversazioni simili tra loro: sta cambiando il processo relazionale. Ci interfacciamo agli altri sempre meno in maniera diretta affidandoci a macchine elettroniche: parliamo con gli sms, le mail, i blog; prepariamo progetti fotografici per raccontare/rci. La mia scatolina delle idee si sta riempiendo in maniera esponenziale di schizzi e progetti in questo periodo, mi sento molto ispirato creativamente ma bloccato nella pratica.
Non è più solo un problema di fare o non fare, preciso: di poter o non poter fare, si tratta adesso di accettare l'industria fotografica nella sua totalità. Significa essere Anna Wintour di me stesso - ho iniziato stanotte, avendo con lei una fitta conversazione in inglese, lode ai sogni! - significa accettare le regole anche discriminanti del mercato oppure scendere da questa folle giostra se mi spaventa ferirmi. Non ho ancora i ginocchi sbucciati, segno che posso andare ancora avanti.

Secondo
In The September Issue è accecante anche per una talpa il concetto di Progetto. Nella testolina della Wintour c'è una direzione precisa. Non mi spiegherei i suoi silenzi o didascalici si-no sulle selezioni delle foto, o la cinica cattiveria con cui tratta la sua direttrice creativa Grace Coddington e tutto il team per spremerli sul piano emotivo al fine di indirizzarli verso la sua visione della cosa, la distillata capacità di portare sullo stesso piano grandi firma della moda e della fotografia ed incutere loro rispetto. La guida di un progetto non può trascendere dal servirsi dei giusti collaboratori. E quale progetto più importante della nostra attività, lo studio che porta il mio nome. Ho tolto tempo alla ricerca di nuovi clienti in favore della formazione di una squadra che risulti professionale.
Sono diventato più esegente. Lo vedo perché cresce la responsabilità con cui mi presento al committtente. La superficialità di un collaboratore la mal digerisco se perpetuata per due volte. Sto cercando fra i giovani, quelli che parlano i nuovi linguaggi, i freschi, i non domati dal sistema, lasciandoli liberi nello spirito ma sotto le regole dello stesso progetto.

Da ragazzino quando mi inventavo i giochi per passare i pomeriggi, tra questi c'era quello di piegare una gamba indietro fino a toccare con il piede il sedere, girare una corda arrangiata su coscia e caviglia e camminare con l'altra sola gamba. Non sono cresciuto sano, ma se ogni volta che mi destabilizzo reimparo a camminare forse lo devo anche a quei giochi.

The September Issue io lo trovato qui ad un prezzo che non gli rende merito.
Alcuni dei nomi citati nel video mi erano meno sconosciuti perché scoperti qualche tempo fa su Art + Commerce: c'è di che leccarsi le dite.

martedì 15 marzo 2011

march 11, 2011

La mattina del 6 aprile del 2009 ero in macchina e stavo andando a consegnare un lavoro ad una azienda. Avevo pressapoco 90 chilometri da fare ma me la godevo perché potevo ascoltare la radio di prima mattina. C'era un tono strano nella trasmissione, nei conduttori. Stavo facendo uno sforzo di memoria per recordarmi il nome della trattoria di quel paesino dove avevo mangiato bene più di un decennio addietro, dove non sarebbe stato male fermarmi a pranzo e godermela alla Montalbano

La Terra ha urlato e ha preso L'Aquila.

Nella successiva mezzora ho pensato seriamente di:
- chiamare il cliente e con una scusa annullare
- calcolare entro quante ore potevo raggiungere in macchina L'Aquila
- quali obiettivi potevano servirmi e tornare a prenderli
- dire o meno in giro che cazzo stavo pensando di fare

Alle undici ero di ritorno, l'autoradio esageratamente pompato per seguire ogni notiziario, un cliente soddisfatto, la valle d'Itria assolata.
E' stata la prima volta che ho dovuto resistere alla tentazione di voler documentare fotograficamente un dramma. La voglia di partire era sempre presente, anche nei giorni successivi, mi tratteneva solo quel buon senso richiamato dagli speaker a non raggiungere i luoghi colpiti se non per assoluta necessità.
La mia era solo una smania travestita da curiosità e spacciata per buone intenzioni. non è più ricapitato.
Qualche giorno dopo, su un mio vecchio blog, scrissi questo:

venerdì 10 aprile 2009
Foto ricordo
Deve essere per una sorta di deformazione professionale, ma mi viene da pensare alle fotografie. Stanno celebrando i funerali dei caduti del terremoto in Abruzzo. 
Ho legato la mia vita alle cose terrene, da sempre. Sono la testimonianza del mio esserci stato. Poi ho deciso di fare il fotografo, perché pensavo, penso, sia bello aiutare la memoria a ricordare, una memoria che sempre più spesso tende a dimenticare o a rimuovere. Il passaggio di un'esistenza racchiusa in un foglio di carta. Assurdo come diamo valore alle cose. 
Molto è andato distrutto nel terremoto; a ciò che è visibile, materiale, si aggiunge ciò che invisibile, il dolore. Pensavo alle foto allora...Cosa metteranno vicino alle lapide dei morti? Dove troveranno le foto? Quanti di quelli sopravvisuti, che hanno bisogno di un volto da guardare per reggersi, anche se di carta, troverranno conforto? 
Una volta, ai funerali di mia nonna, mio padre tirò fuori delle caramelle alla menta in un momento che mi sembrava fuori luogo. Un'azione banale che distolse l'attenzione di molti e alleggerì il clima di pianto. Non ho capito per molto tempo...
Una foto ricordo è come una caramella alla menta, o come un appiglio quando sei in mezzo alla tempesta: non sai per quanto tempo ti reggerà, ma ti avrà salvato per un attimo in più.

Penso molto al Giappone questi giorni, come molti. Pur non essendoci stato ne sono legato, attratto. E' nella wishlist dei viaggi, secondo dopo l'Australia.
Non ho replicato l'insana tendenza a voler partire per ovvie ragioni logistiche/economiche. Poi sono più vecchio di due anni, deve pur significare qualcosa.
Il tg manda a fine servizio le "spettacolari immagini" che arrivano dai luoghi colpiti. Sono tutte fotografie, scattate da reporter di professione.
Sto ancora pranzando mentre vanno in slide le macerie, i bimbi nascosti sotto i banchi, gli anziani nel loro dignitoso silenzio, il fango, gli estratti vivi, gli SOS di fortuna, e quella foto, sepolta per metà nella melma.

domenica 13 marzo 2011

sweater project



Quelli di photographer.it hanno pensato bene che il mio lavoro sweater project valesse una visibilità maggiore e l'hanno pubblicato su quotidiano.net
Non sono qui a fare capriole di gioia ma a ringraziare con rispetto questa loro scelta. Se vi incuriosisce il mio progetto visitatelo qui, diversamente suggerisco di dare una visione ai due link sopra, si può sempre trovare quel che si cercava nei posti meno sospetti.