venerdì 29 ottobre 2010

Ho regalato un vocabolario a mio nipote



In piena adolescenza fui letteralmente folgorato dai libri. Mi innamorai della lettura e dei piani dimensionali che prendevano forma durante quel rito. Ne ero talmente preso da mettere nero su bianco storie da me create e in uno scatto di presunzione mi feci un bel viaggetto a Milano e lasciai un manoscritto a due case editrici.
Niente gloria, ci mancherebbe. Ma ho continuato a scrivere storie anche dopo, alcune mai finite, per poi smettere del tutto. Ci sono personaggi che ho fatto nascere e depositati in un limbo, bloccati in una istantanea. Se accadrà di terminare quei racconti sarà per regalarli ai miei nipoti.
In quel periodo avevo a portata di mano più di un vocabolario. Ero scrupoloso con le parole, affascinato dai sinonimi e dalle diverse sfumature: la parola giusta per ogni concetto.
Questo mi riporta ad oggi. Non sono uno che parla tanto, spesso sento il bisogno di esprimere quello che penso usando le giuste parole; anche quando devo inviare un sms impiego un sacco di tempo: rileggo e uso abitualmente la punteggiatura adatta. Lo stesso quando rispondo a mail o per i commenti sulla rete. Mi rendo conto che dentro mi porto il retaggio di quel periodo, l'uso rispettoso del linguaggio parlato e scritto. L'attenzione poi cresce proprio in quelle situazioni dove si presuppone si sia instaurata una leggera confidenza, che ci porta ad essere più disinibiti, col rischio, anche involontario, di dire una cosa per un 'altra. Faccio fatica a schierarmi tra essere completamente liberi di esprimersi, senza temere che l'altro possa capire male tanto è un suo problema, oppure scegliere con attenzione cosa dire e produrre un processo artificioso di sequenza di parola, non puro istinto.
Tutte questo perché?
Volevo commentare un post di Francesca sul perché si può arrivare a farsi autoritratti di nudo e pubblicarli. Volevo farlo ma non riuscivo a mettere bene insieme le parole. Ero nella stessa difficoltà in cui si ritrovano i nostri corsisti di teatro durante la lezione sull'estetica, quando gli chiedi di spiegare cosa vuol dire Bellezza: ti danno solo sinonimi, si ingarbugliano, cioè bellezza è bellezza, no? ed è una delle lezioni più divertenti e interessanti.
Sono restato per un po' a pensarci, Il mio perché lo conosco, ovvio, non mi servono nemmeno le parole. Ma essere vivi di questi tempi significa anche vibrare quando ci sfiorano con un quesito di cui banalmente conosciamo la risposta ma non sappiamo esprimerla.
Sul perché di Franceca ci sto ancora pensando, non è detto che arrivi a conclusione, tuttavia stamattina ho trovato ulteriore spunto alle mie riflessione in un post su Artsblog. Si parla di Viktoria Modesta, ventunenne (forse 23enne) di origine russa cresciuta poi a Londra. è una fetish queen. Viktoria aveva una malformazione alla gamba, non in forma gravissima, ma lei non l'accettava, il suo corpo era incompleto. Ha chiesto quando aveva 14 anni che le venisse amputata. Richiesta prima rifiutata perché piccola d'età e non legata a reali motivi di sopravvivenza e poi accolta, immagino alla maggiore età.
Sono andato a leggere l'artico intero su Bizzarre - leggetelo, anche se dovrete tradurre dall'inglese ne vale il tempo.
Una scelta come quella di Viktoria mi ha rimesso in circolo il cosa ci spinge al desiderio di comunicare e come lo comunichiamo. Perché usiamo noi stessi?
Ho l'ottimistica presunzione di credere che le sovrastrutture che la nostra coscienza ha costruito su di noi per difenderci in realtà ci hanno imprigionato. Viktoria pare essere rinata dopo quell'amputazione e si usa così com'è per essere in mezzo a noi, questo è quello che vedo dal mio angolino. Ogni volta che tento di progettare qualcosa che mi vede come modello i filtri dell'autocensura (e quei limiti che si chiamano etica, pudore, società, morale, e non ci facciamo mancare nemmeno quelli dettati dalla moda, dalle televisioni, dai contesti urbani) sono simili alla malformazione che aveva Viktoria: non sono in pericolo di vita ma mi sento incompiuto. La fotografia si è inserita nella mia vita come una parola in una frase. Attraverso la sperimentazione della fotografia voglio conoscere i vari sinonimi di quella parola per arricchire il linguaggio e poterli usare al meglio.
Un paio di post fa, nell'elenco delle "cose che non so" in cima alla lista avrei dovuto mettere "Non so fotografare". Non è un'esagerazione. Essere innamorati della fotografia, viverla ogni giorno, lavorarci, produrre non fa di me un fotografo come non faceva di quel ragazzo uno scrittore. Smettendo di scrivere ho smesso di provarci. Se accettassi di essere fotografo smetterei di provarci ogni giorno.
Perciò sarà meglio che mi compri un buon paia di scarpe: questo viaggio sarà parecchio lungo.

E voi, ci provate?

lunedì 18 ottobre 2010

unduetre

Ci sono un po' di cose, tutte accadute nell'ultima settimana, che solo adesso riesco a fermare. Non sono legate fra loro se non per il fatto che riguardano ovviamente la fotografia. L'ordine con cui li inserisco è solo temporale, mi hanno colpito in maniera diversa e non sento nessuna esigenza di dover dare una maggiore o minore impotanza.

1- E' in corso di svolgimento il progetto per Creativi senza limiti. Ad inizio della settimana scorsa ho incontrato le ragazze per la prima volta dopo essere slittato il primo incontro due volte rispetto al programma che avevo stilato.
Gli appuntamenti si tengono presso una struttura ospedaliera nel reparto DCA (Disturbo Comportamenti Alimentari) e le ragazze sono appunto pazienti del DCA. Ho usato il termine "pazienti" per dare un quadro del terreno d'azione ma non lo userò più riferendo a loro.
Il primo incontro è stato l'equivalente di una partita Nicola-Resto del mondo, dove ne ho preso un sacco e ho faticato il triplo per mettere assegno i miei punti. Sapevo da subito che non sarebbe stato uguale ad un laboratorio di teatro, di quelli che ho tenuto io, dove le persone vengono verso di te perché desiderano avvicinarsi e sapere di teatro. Qualcosina di ossa lì me le sono fatte.
Con il progetto Creativi senza limiti invece mi sono mosso io verso di loro e anche se gentilmente spinti a partecipare poteva non fregare nulla di fotografia a chi ha già la sua gatta da pelare. Così decisi di dare agli incontri un taglio emotivo, cercare di trasmettere quanto più possibile la mia passione per la fotografia, di giocare e divertirci con storie di fotografia e di condurle verso il tema del progetto senza spaventarle. Avevo abbozzato giusto qualche frase iniziale per avere un buon approccio e rompere il ghiaccio ma una delle ragazze lo ha spazzato via con una tale semplicità che ho corso sempre in salita. Per tutto la durata dell'incontro ha nervosamente inviato centinaia di sms ad una velocità irritante, fregandosene di noi, di me e senza dubbio anche di se stessa.
Ho recuperato sul finire qualche sua frase fatta di monosillabe ma è stato come perdere 20 a 1 con me che festeggio per quell'unico punto che vale un trionfo. Poi le ho incontrate ancora, sono arrivato più tranquillo, loro in inferiorità numerica.
Ci sta', è normale.

2- Sono stato a Parma nel fine settimana ma prima di partire ho controllato la posta, messo in ordine lo studio e letto gli aggiornamenti sui blog.
Quando scoprii f/64 ne fui colpito, così, a prima frase. Una canzone che non conoscevi e che adesso desideri ogni giorno sul tuo iPod.
Posso dire di aver visto le foto di Francesca solo venerdì, quelle che ha pubblicato sul nuovo blog. Non ho commentato nulla, quello che ho provato d'istinto è stata una sana invidia e ho aspettato che sbollisse.
Ho iniziato con i matrimoni, prima ancora di scattare facevo post produzione di matrimoni per altri fotografi. La fotografia di matrimonio cambia da regione a regione, spesso da città a città. Non è mai stata la direzione che volevo far prendere al mio studio, per questa ragione tempo fa ho deciso di non fare più foto di cerimonia. In realtà fa pure piacere che più ti allontani da quel mondo e più ti arrivano proposte di lavoro. Ma il meccanismo della foto di cerimonia nella realtà che mi circonda non lo amo.
Le foto di Francesca mi hanno riportato indietro. L'ho invidiata perché ho ripensato a quelle volte in cui presentavo dei bianconeri contrastati, le vignettature evidenti, la scala cromatica spostata su toni non necessariamente mielosi e vedermele prontamente bocciare perché non allineate. Una volta ho lavorato per poco più di tre ore per ottenere un bianconero da stampa fine-art per nulla, visto che la stampa finale è stata fatta in uno scontato colore su esigenza della coppia. Se Francesca ha pubblicato quegli scatti presumo che gli sia stata lasciata la libertà di esprimersi, a questo è dovuta la mia invidia.
Poi, ed è mia opinione, al di là delle foto di matrimonio, produce immagini straordinarie, con un linguaggio preciso, da cui traspare l'attenzione che ha verso il mondo, ed io penso che sà più di quel che vuol far credere.

3- Il weekend a Parma mi ha visto partecipare a un incontro presso Fotoscientifica con la collaborazione di Aproma. Mi sono spaccato la schiena per due notti consecutive in treno e una gionata in mezzo, quasi quarantotto ore senza dormire.
All'incontro ci siamo presentati in tanti e tuttavia a numero chiuso per capacità della struttura. Credo una settantina.
Per chi non la conosce Fotoscientifica è un grande set si sala posa che si occupa principalmente di food e sono in attività da oltre quarant'anni. Metto da parte tutto l'aspetto promozionale dell'Aproma e altre faccende giustamente necessarie presenti sabato per parlare di quello che più mi porto di questa esperienza.
Ho visto negli sguardi, nei gesti, tra i silenzi e le parole dei padroni di casa la passione di due persone che amano la fotografia, e parlo di persone che hanno "ormai la barba bianca" (citazione dello stesso Daniele Broia, uno dei due fondatori). Li ho sentiti metterci in guardia sui tempi non felici della fotografia e di tenere duro, di imparare a cedere quando è necessario ma non prostituirsi, di sperimentare, sbagliare, costruire sugli errori, di non avere paura di parlare dei propri lavori perché "non esistono i segreti", e tanto altro ancora. Cose che in realtà conoscevo ma ti si scolpiscono dentro quando avviene per via diretta invece che attraverso internet. Se un giorno capitaste dalle loro parti andate a trovarli, sono delle persone genuine oltre che ospiti gradevoli.

lunedì 4 ottobre 2010

I don't know #1

Ho messo da parte un po' i miei libri in questo periodo, ho una decina di titoli prima del nuovo saccheggio alla feltrinelli. Però sto leggendo. Comprai dei testi in inglese che mi serviranno anche per prepararmi all'esame a dicembre e, su segnalazione di un post di Sara Lando, il volume di John Harrington, questo di 500 pagine in un bel inglese-americano; almeno terrà occupato me e lontane le mie economie dalle librerie. Sono solo a pagina 10 e temo mi sarà difficile gestire l'ansia da conoscenza di cui sono ammalato, saperi di cui il libro è pieno.
L'ultimo paragrafo letto è "Sapere quello che non sai". Così come suggerito da Harrington l'ho riletto più volte per avere, intanto per me, la certezza di aver tradotto bene e poi per metabolizzare il concetto. Ho avuto un breve momento di autocompiacimento quando mi sono reso conto che qualcosina forse la sto azzecando in quello che faccio, almeno sul piano delle decisioni, meno sul pratico. Ma non dispero, così come usa ripetermi la mia prof di inglese "Nicola sei allo stadio di un bambino che inizia ad articolare le sue prime frasette sciocche, c'è tempo per le complicazioni da adulto" , è bene che accetti di crescere a velocità "umana".
Così stamattina non avendo nulla di divertende da fare ho tirato giù la mia bella lista di cose che non so parte uno, si perché non avendo fatto colazione il cervello si rifiuta di mostrarmi tutto e mi toccherà aggiornare la lista in un secondo momento. L'ordine non segue nessuna logica se non quella delle mie psicosi, perciò non infierite.

1) Non so come si prepara un portfolio da presentare ad un'agenzia

2) Non so contattare e approcciarmi a persone che potrebbero farmi da modelli

3) Non so trasformare un'idea creativa in foto

4) Non so calcolare bene i guadagni rispetto alle commissioni di lavoro

5) Non so usare programmi che potrebbero essere utili al mio lavoro

6) Non so distinguere un buon cliente da uno che mi farà perdere tempo

7) Non so come promuovermi

8) Non so cercare nuovi clienti

9) Non so gestire le luci da studio

10) Non so dire di no quando un lavoro mi può creare più problemi che guadagni

11) Non so gestire il mio tempo per ottimizzare il lavoro

12) Non so fare squadra

13) Non so leggere le fotografie nel senso comunicativo

14) Non so decidere quale stile fotografico più mi rappresenta

15) Non so spiegare il mio pensiero fotografico

16) Non so spiegare le mie foto

17) Non so nulla di come funziona il mondo della fotografia a certi livelli

18) Non so quanto tempo mi occorrerà per risolvere questi "Non so"