venerdì 24 dicembre 2010

I wish to...

Elenco random delle cose che ho desiderato quest'anno

andare due settimane in inghilterra
abbellire fuori lo studio con piante e vasi
fare bene il mio lavoro
trovare clienti
innamorarmi
andare negli stati uniti
cambiar casa
andare al workshop di milano
riuscire a volare
salvare il mondo (sempre)
partecipare alla maratona di new york
iscrivermi in piscina
mettere dei punti fermi su alcune relazioni
trasformare il box "idee per foto" in foto
organizzare e cucinare cene per gli amici
creare dei tutorial di photoshop
lavare l'auto
vedere botticelli a roma
che la mia famiglia viva con meno disagi
di non perdermi d'animo
realizzare un buon portfolio
avere uno studio più grande
leggere più libri del' anno precedente
imparare ad usare dreamweaver
comprare nuovi flash
sistemare l'anta dell'armadio
non annuire alla prof. di inglese quando invece non ho capito nulla
non stressarmi più con il teatro
ubriacarmi, ma senza postumi
imparare a dire di no
dire "Ti voglio bene" quando lo sento senza provare imbarazzo
essere stronzo nella giusta misura
vivere belle esperienze e ricordarmele

Elenco di ciò che si è avverato


...ho tempo fino al trentuno per realizzare 28 dei 33 punti.

domenica 12 dicembre 2010

Cosa faresti se una ragazza prendesse fuoco davanti a te?

Il video sotto l'ho appena visto nel post di Fotografia: Parliamone.
Il discorso dell'etica è sempre argomento ostico. Non riuscirei a partecipare ad una discussione forbita tra il realizzare (e utilizzare) o meno certe immagini; non avendo conoscienza di quel mondo mi limiterei ad ascoltare schierandomi fra i sostenitori del "no, non lo farei".
Da qualche tempo ho preso a non voler più vedere le immagini presenti su The big picture sui temi della guerra, in particolare non clicco più su quelle censurate che, se si accetta di volerle vedere, mostrano scene strazianti con almeno un cadavere ripreso.
Questo, lo ammetto, mi fa sentire più comodo nella mia poltrona mentre quella parte di mondo continua ad esserci. Non ho risposte.
Pur non apprezzando il taglio hollywoodiano del video, meno che mai il finale - sinceramente avrei stoppato prima lasciando il punto di domanda così da forzare una riflessione - l'ho trovato utile: che mi ci si sieda sulla poltrona passi, ma addormentarmi proprio no!

Vi rimando al post e ai commenti, parlano sempre meglio di me.


sabato 4 dicembre 2010

costruitevi dei sogni e fatevi il culo per realizzarli!

Questa frase fu detta da Roberrto Vacca, il matematico, nel suo intervento alla trasmissione di Chiambretti Il Laureato, parecchi anni fa. Ero un ragazzino, non biologicamente parlando. Ricordo che ascoltai tutto l'intervento e ne rimasi affascinato, mi diede una carica incredibile e fu allora che si intensificò la creazione di storie e presunti romanzi.
Poche frasi ti restano dentro come monito, a volte penso davvero che tatuarsele addosso sarebbe la cosa migliore. Capita invece che te ne dimentichi, ritorno nell'oblio della bella vita di tutti i giorni, la matrix del quieto vivere, e si va avanti finché qualcosa nel sistema - cito ancora matrix - non va in corto.
Ero a casa di un amico ieri sera. Era il suo compleanno. Nel suo lavoro fa i turni e ieri gli toccava smontare alle undici, le ventitré!
E' uno di quegli amici storici, stessa età, ci conosciamo da quando avevamo dieci anni. Stessi pomeriggi a giocare a pallone per strada, stesse crisi esistenziali su un Dio ingrato, stesse nottate in piedi all'agghiaccio a parlare di tutto e niente, stesse prime vacanze insieme, e poi i disagi dell'adolescenza, di un paese stacanovista ma ignorante come un mulo, di eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo, le litigate, la minaccia di prendere direzioni diverse, e poi ancora la musica che ci riporta insieme, la formazione del gruppo, le nostre canzoni, pezzi nostri non cover, l'unica esibizione in pubblico, intanto qualcuno dei nostri inizia a sposarsi, il gruppo si scioglie - in realtà mi allontano io perché la musica non è la mia strada -, arrivano altri matrimoni, i figli, le cose sono cambiate, la crisi, il lavoro di merda sottopagato, lui che ha due figli, fa i turni, non ci si vede quasi mai, lui che somiglia ad una canzone di Rino Gaetano, lui che ieri ha compiuto trentasei anni.
Sono arrivato dopo le prove in teatro, pochi minuti alle undici. I bambini erano a letto, la casa silenziosa, la moglie che lo aspetta in piedi. Qualche minuto dopo è arrivato. Siamo stati in cucina a chiacchierare a bassa voce, noi maschi a berci una birra e lei che con abitudine casalinga tira fuori qualcosa da masticare e un pezzo di dolce fatto in casa. Mi sono reso conto che si era fatto davvero tardi. Prima di andare via mi ha chiamato in uno stanzino, quelli utili per il ripostiglio. "Ti voglio far sentire una cosa"
Ho provato una delicata tristezza mentre me lo diceva. Nello stanzino c'erano le chitarre, il multitracce per registrare, spartiti, accordatore, pedaliere, una bacheca con dei testi: molto del nostro passato di band incastrato in poco più di due metri quadri. Ho ascoltato in cuffia i pezzi su cui stava lavorando. Mi ha commosso, un buon lavoro, da sistemare ma bello, sentito. Siamo rimasti a parlare ancora per parecchio dopo, finendo sulle scale del condominio e quando sono uscito per strada non camminava nessuno. Abitando a un paio di isolati me la sono fatta a piedi. La frase di Vacca mi è risalita dallo stomaco.
Agire e farsi il culo ogni giorno non è un quadro felice, si traduce in vai piano, studia, sii umile, faccia tosta, più autostima, ti farai male, orgoglio quanto basta, muoviti, vai verso senza aspettare, fai esercizi di felicità, vaffanculizzati a comando.
Stamattina mi sono alzato che non ho riposato bene. Ho ripensato a ieri sera come a qualcosa di lontano. Brividi da dimenticatoio. Ho preso un foglio e un pennarello.
Fatto il sogno, fatti il culo per realizzarlo!

Ora ho un terzo tatuaggio.

lunedì 29 novembre 2010

il salto

Sono più o meno tre giorni che penso al workshop di Milano. Voglio andarci, veramente, non come tutti gli altri che mi sono passati sotto il naso e scomparsi nel nulla. Qui è diverso. Sono tre giorni che ci penso e ho concluso due sole cose: ho paura e voglio farlo. Mi sono fermato a pensare seriamente a questa cosa della paura, mi vengono in mente le facce dei ragazzi dei laboratori di teatro quando devono fare il salto: stanno tutti lì, appiccicati al muro a chiedersi perché non si sono iscritti in palestra invece di stare in mezzo ad altri che adesso vedranno come mi muovo, come farò sto cavolo di salto e lo sbaglierò, che poi insomma che c'entra il salto con il teatro?
La conosco quella faccia, la paura del confronto, la stesso che ho io adesso.

Sono andato a ricaricare la postepay e Barbara mi ha confermato che è arrivato il versamento dell'iscrizione al workshop: tre passi, stacco e atterro. Salto.

Silvia mi ospita a casa sua e lunedì vedo Rosa. C'è un sacco da vedere a Milano, me li perdo tutti, Basilé compreso che ci tenevo per via di "Picchiati". Questa però di "Immagini Inquietanti "ce la faccio venerdì pomeriggio quando arrivo.
Ho messo tutto nello zaino Lowepro: le ciabatte di spugna accanto alla 5d, il pigiama e i calzini tra il 70/200 e i paraluce, compressi; il portatile nello scomparto sopra, avvolto nell'asciugamano, poi i boxer, Carofiglio da leggere, lo spazzolino, la maglia pulita, il lettore di schede, una copia dei check-in on line, quaderno per appunti, alimentatore per portatile, una maglia, questa più pesante perché soffro il freddo, mi vesto a cipolla con scarpe da guerra e speriamo che quelli di ryanair non abbiano le palle girate al controllo bagagli.
La mostra l'ho vista e per la prima volta nella mia vita ho pensato davanti ad una fotografia "sto per vomitare". Gli unici due nomi che conoscevo erano Mapplethorpe e Pellegrin, il primo visto anni fa in un allestimento più appetibile. Come possono delle immagini crude modificare la chimica del tuo corpo?

Da Silvia ho lasciato tutto il casalingo ma i dieci chili sulla spalla si fanno lo stesso sentire fino al civico 12 di via Martiri Triestini.
Eccomi qua: oggi compio 36 anni e faccio un secondo salto. Questa volta è emozione.
Riconosco Barbara, la saluto stringendo la mano e la guardo come si guarda la fotografia di una persona che non hai mai visto. Indovino il viso di Monica e intercetto subito la voce di Francesco. Mi sento a mio agio, tante cose somigliano ai preliminari di ogni corso che ho vissuto. Mi presento a chi c'è e a chi arriva e non ricorderò un solo nome se non lo avrò scritto almeno tre volte da qualche parte. Poi c'è una che non mi pare di aver salutato appoggiata alla colonna, ha le braccia conserte ma si legge la fede alla sinistra, veste una lunga maglia sul prugna e stivali neri, una montatura nera su un viso da ballerina classica o attrice di teatro di ricerca ed io non ho riconosciuto chi, per l'effetto farfalla, mi ha portato lì. La sola cosa imbecille che riesco a dire è: Ma sei Sara Lando?
Non ho capito più nulla per un bel po' e non perché soffro della mania da idolo. Uno dei doni più preziosi che ho è la fortuna della vista e quello che so l'ho imparato osservando. I miei occhi rimbalzano dal leggere i volti del gruppo nella stanza alle luci montate, dai delicati silenzi di Heloise ai sussurri fra Monica e Barbara sui test luci, dal viso di Francesca sul set ai titoli dei libri nello studio. Ma tutto questo passando dalle parti di Sara per rubare quanto più possibile. Ogni tanto scatto anch'io. Francesca è bella, disponibile se la incuriosisci, qualche resistenza se la banalizzi, i suoi e tuoi occhi sono alla stessa altezza ed è fantastico. Faccio male le mie foto, non mi bastano sette minuti per farmi conoscere da lei, le spiego comunque la mia idea e le dico proviamoci, oggi è un gioco.
Quando suonano il citofono sono sulla parete di fondo, in penombra, a guardare altri che scattano. Benedusi entra, saluta tutti, Francesca lascia il set e corre ad abbracciarlo. Scariche elettriche nello studio. A potenze diverse. A me provoca paresi jokeriana, il Marzoli insiste a toccare i fili scoperti, per qualcuna è come la 12 volt dei contatti elettrici per aprire i portoni condominiali, non provoca più di un pizzico, per Nicola è il passaggio da assistente simpatico a faccia seria chicazzoèquesto, per altri è un vicino che mettiamo nella foto di gruppo.
Manca poco alla fine della giornata, domani siamo qualcuno in meno, io sono più rilassato, parliamo di fotoritocco e di come pulire la pelle, colore e raw, c'è più cazzeggio ma si va avanti fino a conclusione, ma oggi, oggi concludo aspettandoti vicino alla porta perché stai andando via. Non balbetto perché tanto quello che ti devo dire è breve. non sento la consistenza della tua mano perché sono concentrato a guardarti negli occhi, poi ho avvolto la tua destra in entrambe le mie mani per rafforzare il messaggio.
GRAZIE.

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Barbara Zonzin
Matteo Basilé
Immagini inquietanti
Robert Mapplethorpe
Paolo Pellegrin
Monica Antonelli
Francesco Marzoli
Sara Lando
Heloise Baldelli
Francesca Cortevesio
Settimio Benedusi

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mercoledì 24 novembre 2010

in corsa

Sono rientrato ieri da Milano e domani si riparte per Assisi. Non ho avuto tempo per fare le cose più semplici. Ho bisogno di fermarmi, ma non questi giorni, non ora. Ho letto velocemente i post di Barbara, Monica e Francesco sul workshop commentando d'impeto il piacere di questa esperienza, rimandando fra qualche giorno, su queste pagine, le mie osservazioni al completo.
Ho cercato di salutare e stringere la mano direttamente a quanti più ho potuto alla fine del workshop, tra i compagni di classe qualcuno mi è sfuggito e me ne dispiace. Ho conosciuto delle belle persone, incontrato chi desideravo incontrare e anche qualcuno a sorpresa, e ho avuto l'occasione di guardare negli occhi chi ha, senza volerlo, sostenuto molte mie giornate no e dirgli Grazie.
La foto di gruppo ufficiale la trovate qui oppure qui e anche qui, scattata dalla padrona di casa Giovanna, questa qui sotto invece è l'immagine che avevo prima della partenza nella mia testolina.


domenica 14 novembre 2010

il mestiere del fotografo


Ph. by Charles Ebbets


Periodo non felice, decisamente. Negli ultimi venti giorni ho rimesso in discussione molte cose, causandomi ferite sotto pelle non da poco. Appunto: causandomi. Dimentico con molta facilità di essere l'unico artefice di questo stato.
Mi sono posto degli obbiettivi alti, come sempre, ma questa volta ci sono dentro con tutta la mia vita, non come quando volevo esplorare le galassie, salvare il mondo, avere qualche super potere, diventare attore o scrittore a tanto altro ancora.
La realtà che incontro ogni giorno fuori dalla porta di casa non la riconosco più. C'è stato un tempo che amavo la mia città, i confini a portata di passeggiata, la sua storia, il suono del dialetto, quella genuina semplicità di chi non ha ambizioni. Poi è arrivato il boom del salotto e il mio paese, no scusate, Altamura ha gli attributi di una città, e la mia città si è ubriacata. Una sbronza fatta di cemento selvaggio, traffico inverosimile - 2,7 auto procapite, 19% suv - corruzione, illegalità, arroganza, malizia, sospetto, individualismo. I postumi sono stati devastanti, la parte sana della cultura si è ammalata. La crisi del salotto poi ha peggiorato le cose: crisi d'astinenza denaro con evidente perdita del senso della realtà. Ogni giorno devo confrontarmi con tutto questo.
Se dici fotografo qui ti rispondono: ah! matrimoni, comunioni! Bé no, anche se tanto di cappello a chi se ne occupa. Mi sta bene spiegare quanto ampio è il mondo della fotografia, anzi mi piace perché mi piace parlare di fotografia; mi sta meno bene se nella testa del mio interlocutore il metro di valutazione di un lavoro è la foto di matrimonio: un prodotto di pasticceria non è una coppia che si scambia un anello.
Recentemente mi sono imbattuto in episodi che sulle prime mi hanno fatto sorridere. Un amico tipografo stava montando delle foto per una brochure di un negozio d'abbigliamento. Scattate in esterna campagna, sole di mezzogiorno senza schiarita delle ombre, inquadrature dall'alto con distorsione delle proporzioni della modella, esposizioni sballate, espressioni lasciamo perdere. Scopro che il lavoro è tutto casalingo: la modella è la figlia del negozio e le foto fatte dal papà o dal fratello. Ancora…
Faccio un preventivo per un mini catalogo di prodotti dolciari. Mai pervenuta risposta si sono in realtà affidati ad un matrimonialista (ho spie tra i grafici e i tipografi). Non commento quello che ho visto. Ognuno è padrone dei propri soldi, per carità. Ma penso che le persone colpite dai postumi di quella sbronza si stanno curando con la medicina sbagliata e fanno assaggiare a me il sapore amaro che ha.
Sempre per cercare nuove soluzione in un mercato non felice mi sto proponendo come post produttore, diamine ne sono più che capace. Ai matrimonialisti con un buon giro a cui poter dare un contributo da esterno presentarsi come fotografo/post produttore è una mossa sbagliata: pensano "questo mi ruba i clienti". Non mi occupo di matrimoni. Ma scusa non sei fotografo?
Ai laboratori non servi oppure sei troppo competente per la loro clientela.
Agenzie di comunicazione? Uhmmm, interessante. Le faremo sapere, intanto Felice Natale.
Aggiungiamo un breve ma non completo elenco di termini qui mai sentiti nel settore fotografico: preventivo, still-life, cessione diritti, copyright, liberatoria, fine-art, fattura, food, post-produzione, portfolio, model release, advertising, workshop, utilizzo delle immagini, set...

Comincio ad avvertire il desiderio di quella vacanza che quest'anno non mi sono preso per risparmi di bolletta.

Nel pieno delle solite pippe non mi sono fatto mancare dei progetti personali. Uno lo trovate qui, su un nuovo spazio dove riversare più immagini e meno chiacchiere, oppure sulla pagina di flickr in versione singola.
L'altro è in fase di post-produzione e di ritorno da milano dovrei poterlo pubblicare. Qualche anticipazione in basso.




venerdì 29 ottobre 2010

Ho regalato un vocabolario a mio nipote



In piena adolescenza fui letteralmente folgorato dai libri. Mi innamorai della lettura e dei piani dimensionali che prendevano forma durante quel rito. Ne ero talmente preso da mettere nero su bianco storie da me create e in uno scatto di presunzione mi feci un bel viaggetto a Milano e lasciai un manoscritto a due case editrici.
Niente gloria, ci mancherebbe. Ma ho continuato a scrivere storie anche dopo, alcune mai finite, per poi smettere del tutto. Ci sono personaggi che ho fatto nascere e depositati in un limbo, bloccati in una istantanea. Se accadrà di terminare quei racconti sarà per regalarli ai miei nipoti.
In quel periodo avevo a portata di mano più di un vocabolario. Ero scrupoloso con le parole, affascinato dai sinonimi e dalle diverse sfumature: la parola giusta per ogni concetto.
Questo mi riporta ad oggi. Non sono uno che parla tanto, spesso sento il bisogno di esprimere quello che penso usando le giuste parole; anche quando devo inviare un sms impiego un sacco di tempo: rileggo e uso abitualmente la punteggiatura adatta. Lo stesso quando rispondo a mail o per i commenti sulla rete. Mi rendo conto che dentro mi porto il retaggio di quel periodo, l'uso rispettoso del linguaggio parlato e scritto. L'attenzione poi cresce proprio in quelle situazioni dove si presuppone si sia instaurata una leggera confidenza, che ci porta ad essere più disinibiti, col rischio, anche involontario, di dire una cosa per un 'altra. Faccio fatica a schierarmi tra essere completamente liberi di esprimersi, senza temere che l'altro possa capire male tanto è un suo problema, oppure scegliere con attenzione cosa dire e produrre un processo artificioso di sequenza di parola, non puro istinto.
Tutte questo perché?
Volevo commentare un post di Francesca sul perché si può arrivare a farsi autoritratti di nudo e pubblicarli. Volevo farlo ma non riuscivo a mettere bene insieme le parole. Ero nella stessa difficoltà in cui si ritrovano i nostri corsisti di teatro durante la lezione sull'estetica, quando gli chiedi di spiegare cosa vuol dire Bellezza: ti danno solo sinonimi, si ingarbugliano, cioè bellezza è bellezza, no? ed è una delle lezioni più divertenti e interessanti.
Sono restato per un po' a pensarci, Il mio perché lo conosco, ovvio, non mi servono nemmeno le parole. Ma essere vivi di questi tempi significa anche vibrare quando ci sfiorano con un quesito di cui banalmente conosciamo la risposta ma non sappiamo esprimerla.
Sul perché di Franceca ci sto ancora pensando, non è detto che arrivi a conclusione, tuttavia stamattina ho trovato ulteriore spunto alle mie riflessione in un post su Artsblog. Si parla di Viktoria Modesta, ventunenne (forse 23enne) di origine russa cresciuta poi a Londra. è una fetish queen. Viktoria aveva una malformazione alla gamba, non in forma gravissima, ma lei non l'accettava, il suo corpo era incompleto. Ha chiesto quando aveva 14 anni che le venisse amputata. Richiesta prima rifiutata perché piccola d'età e non legata a reali motivi di sopravvivenza e poi accolta, immagino alla maggiore età.
Sono andato a leggere l'artico intero su Bizzarre - leggetelo, anche se dovrete tradurre dall'inglese ne vale il tempo.
Una scelta come quella di Viktoria mi ha rimesso in circolo il cosa ci spinge al desiderio di comunicare e come lo comunichiamo. Perché usiamo noi stessi?
Ho l'ottimistica presunzione di credere che le sovrastrutture che la nostra coscienza ha costruito su di noi per difenderci in realtà ci hanno imprigionato. Viktoria pare essere rinata dopo quell'amputazione e si usa così com'è per essere in mezzo a noi, questo è quello che vedo dal mio angolino. Ogni volta che tento di progettare qualcosa che mi vede come modello i filtri dell'autocensura (e quei limiti che si chiamano etica, pudore, società, morale, e non ci facciamo mancare nemmeno quelli dettati dalla moda, dalle televisioni, dai contesti urbani) sono simili alla malformazione che aveva Viktoria: non sono in pericolo di vita ma mi sento incompiuto. La fotografia si è inserita nella mia vita come una parola in una frase. Attraverso la sperimentazione della fotografia voglio conoscere i vari sinonimi di quella parola per arricchire il linguaggio e poterli usare al meglio.
Un paio di post fa, nell'elenco delle "cose che non so" in cima alla lista avrei dovuto mettere "Non so fotografare". Non è un'esagerazione. Essere innamorati della fotografia, viverla ogni giorno, lavorarci, produrre non fa di me un fotografo come non faceva di quel ragazzo uno scrittore. Smettendo di scrivere ho smesso di provarci. Se accettassi di essere fotografo smetterei di provarci ogni giorno.
Perciò sarà meglio che mi compri un buon paia di scarpe: questo viaggio sarà parecchio lungo.

E voi, ci provate?

lunedì 18 ottobre 2010

unduetre

Ci sono un po' di cose, tutte accadute nell'ultima settimana, che solo adesso riesco a fermare. Non sono legate fra loro se non per il fatto che riguardano ovviamente la fotografia. L'ordine con cui li inserisco è solo temporale, mi hanno colpito in maniera diversa e non sento nessuna esigenza di dover dare una maggiore o minore impotanza.

1- E' in corso di svolgimento il progetto per Creativi senza limiti. Ad inizio della settimana scorsa ho incontrato le ragazze per la prima volta dopo essere slittato il primo incontro due volte rispetto al programma che avevo stilato.
Gli appuntamenti si tengono presso una struttura ospedaliera nel reparto DCA (Disturbo Comportamenti Alimentari) e le ragazze sono appunto pazienti del DCA. Ho usato il termine "pazienti" per dare un quadro del terreno d'azione ma non lo userò più riferendo a loro.
Il primo incontro è stato l'equivalente di una partita Nicola-Resto del mondo, dove ne ho preso un sacco e ho faticato il triplo per mettere assegno i miei punti. Sapevo da subito che non sarebbe stato uguale ad un laboratorio di teatro, di quelli che ho tenuto io, dove le persone vengono verso di te perché desiderano avvicinarsi e sapere di teatro. Qualcosina di ossa lì me le sono fatte.
Con il progetto Creativi senza limiti invece mi sono mosso io verso di loro e anche se gentilmente spinti a partecipare poteva non fregare nulla di fotografia a chi ha già la sua gatta da pelare. Così decisi di dare agli incontri un taglio emotivo, cercare di trasmettere quanto più possibile la mia passione per la fotografia, di giocare e divertirci con storie di fotografia e di condurle verso il tema del progetto senza spaventarle. Avevo abbozzato giusto qualche frase iniziale per avere un buon approccio e rompere il ghiaccio ma una delle ragazze lo ha spazzato via con una tale semplicità che ho corso sempre in salita. Per tutto la durata dell'incontro ha nervosamente inviato centinaia di sms ad una velocità irritante, fregandosene di noi, di me e senza dubbio anche di se stessa.
Ho recuperato sul finire qualche sua frase fatta di monosillabe ma è stato come perdere 20 a 1 con me che festeggio per quell'unico punto che vale un trionfo. Poi le ho incontrate ancora, sono arrivato più tranquillo, loro in inferiorità numerica.
Ci sta', è normale.

2- Sono stato a Parma nel fine settimana ma prima di partire ho controllato la posta, messo in ordine lo studio e letto gli aggiornamenti sui blog.
Quando scoprii f/64 ne fui colpito, così, a prima frase. Una canzone che non conoscevi e che adesso desideri ogni giorno sul tuo iPod.
Posso dire di aver visto le foto di Francesca solo venerdì, quelle che ha pubblicato sul nuovo blog. Non ho commentato nulla, quello che ho provato d'istinto è stata una sana invidia e ho aspettato che sbollisse.
Ho iniziato con i matrimoni, prima ancora di scattare facevo post produzione di matrimoni per altri fotografi. La fotografia di matrimonio cambia da regione a regione, spesso da città a città. Non è mai stata la direzione che volevo far prendere al mio studio, per questa ragione tempo fa ho deciso di non fare più foto di cerimonia. In realtà fa pure piacere che più ti allontani da quel mondo e più ti arrivano proposte di lavoro. Ma il meccanismo della foto di cerimonia nella realtà che mi circonda non lo amo.
Le foto di Francesca mi hanno riportato indietro. L'ho invidiata perché ho ripensato a quelle volte in cui presentavo dei bianconeri contrastati, le vignettature evidenti, la scala cromatica spostata su toni non necessariamente mielosi e vedermele prontamente bocciare perché non allineate. Una volta ho lavorato per poco più di tre ore per ottenere un bianconero da stampa fine-art per nulla, visto che la stampa finale è stata fatta in uno scontato colore su esigenza della coppia. Se Francesca ha pubblicato quegli scatti presumo che gli sia stata lasciata la libertà di esprimersi, a questo è dovuta la mia invidia.
Poi, ed è mia opinione, al di là delle foto di matrimonio, produce immagini straordinarie, con un linguaggio preciso, da cui traspare l'attenzione che ha verso il mondo, ed io penso che sà più di quel che vuol far credere.

3- Il weekend a Parma mi ha visto partecipare a un incontro presso Fotoscientifica con la collaborazione di Aproma. Mi sono spaccato la schiena per due notti consecutive in treno e una gionata in mezzo, quasi quarantotto ore senza dormire.
All'incontro ci siamo presentati in tanti e tuttavia a numero chiuso per capacità della struttura. Credo una settantina.
Per chi non la conosce Fotoscientifica è un grande set si sala posa che si occupa principalmente di food e sono in attività da oltre quarant'anni. Metto da parte tutto l'aspetto promozionale dell'Aproma e altre faccende giustamente necessarie presenti sabato per parlare di quello che più mi porto di questa esperienza.
Ho visto negli sguardi, nei gesti, tra i silenzi e le parole dei padroni di casa la passione di due persone che amano la fotografia, e parlo di persone che hanno "ormai la barba bianca" (citazione dello stesso Daniele Broia, uno dei due fondatori). Li ho sentiti metterci in guardia sui tempi non felici della fotografia e di tenere duro, di imparare a cedere quando è necessario ma non prostituirsi, di sperimentare, sbagliare, costruire sugli errori, di non avere paura di parlare dei propri lavori perché "non esistono i segreti", e tanto altro ancora. Cose che in realtà conoscevo ma ti si scolpiscono dentro quando avviene per via diretta invece che attraverso internet. Se un giorno capitaste dalle loro parti andate a trovarli, sono delle persone genuine oltre che ospiti gradevoli.

lunedì 4 ottobre 2010

I don't know #1

Ho messo da parte un po' i miei libri in questo periodo, ho una decina di titoli prima del nuovo saccheggio alla feltrinelli. Però sto leggendo. Comprai dei testi in inglese che mi serviranno anche per prepararmi all'esame a dicembre e, su segnalazione di un post di Sara Lando, il volume di John Harrington, questo di 500 pagine in un bel inglese-americano; almeno terrà occupato me e lontane le mie economie dalle librerie. Sono solo a pagina 10 e temo mi sarà difficile gestire l'ansia da conoscenza di cui sono ammalato, saperi di cui il libro è pieno.
L'ultimo paragrafo letto è "Sapere quello che non sai". Così come suggerito da Harrington l'ho riletto più volte per avere, intanto per me, la certezza di aver tradotto bene e poi per metabolizzare il concetto. Ho avuto un breve momento di autocompiacimento quando mi sono reso conto che qualcosina forse la sto azzecando in quello che faccio, almeno sul piano delle decisioni, meno sul pratico. Ma non dispero, così come usa ripetermi la mia prof di inglese "Nicola sei allo stadio di un bambino che inizia ad articolare le sue prime frasette sciocche, c'è tempo per le complicazioni da adulto" , è bene che accetti di crescere a velocità "umana".
Così stamattina non avendo nulla di divertende da fare ho tirato giù la mia bella lista di cose che non so parte uno, si perché non avendo fatto colazione il cervello si rifiuta di mostrarmi tutto e mi toccherà aggiornare la lista in un secondo momento. L'ordine non segue nessuna logica se non quella delle mie psicosi, perciò non infierite.

1) Non so come si prepara un portfolio da presentare ad un'agenzia

2) Non so contattare e approcciarmi a persone che potrebbero farmi da modelli

3) Non so trasformare un'idea creativa in foto

4) Non so calcolare bene i guadagni rispetto alle commissioni di lavoro

5) Non so usare programmi che potrebbero essere utili al mio lavoro

6) Non so distinguere un buon cliente da uno che mi farà perdere tempo

7) Non so come promuovermi

8) Non so cercare nuovi clienti

9) Non so gestire le luci da studio

10) Non so dire di no quando un lavoro mi può creare più problemi che guadagni

11) Non so gestire il mio tempo per ottimizzare il lavoro

12) Non so fare squadra

13) Non so leggere le fotografie nel senso comunicativo

14) Non so decidere quale stile fotografico più mi rappresenta

15) Non so spiegare il mio pensiero fotografico

16) Non so spiegare le mie foto

17) Non so nulla di come funziona il mondo della fotografia a certi livelli

18) Non so quanto tempo mi occorrerà per risolvere questi "Non so"

martedì 21 settembre 2010

braces



Comprai delle bretelle la scorsa settimana. Erano le nove di sera e i negozi stavano chiudendo. Poi me ne andai in studio, misi su una playlist, quelle che vanno bene col vino e i ricordi, e le indossai.

venerdì 10 settembre 2010

Sul tentare, fallire e giudicare.

La scorsa settimana c'è stato uno di quei vuoti cosmici nel flusso della giornata lavorativa, una mattinata da riempire. Sono andato verso lo studio con l'intenzione di ricreare uno scatto di William van der Steen visto mesi fa in un suo tutorial e che durante la notte è riapparso suggerendomi varianti creative, le quali varianti però avrebbero richiesto più tempo di quello che potevo dedicare quella mattina. Studio allora.

Lo scatto non presentava apparenti difficoltà, pochi tocchi di photoshop e l'idea materializzata nella mia mente aveva anche un senso. Ho comprato dal fruttivendolo il casco di banane che mi servivano, le ho scelte con attenzione trattenendomi dal rispondere al venditore che insisteva sulla bontà del frutto, e spiedini e stuzzicadenti dal minimarket.
Dopo la prima ora passata a cercare di far stare ferme le rondelle di banane nello spiedo ho capito che:

1 esiste la legge di gravità
2 le banane sono umide
3 gli stuzzicadenti possono pungere
4 mi impegnerò a non pensare più "è facile, che ci vuole"
5 posso ritornare a mangiare le banane

Dico questo perché una volta tagliate le rondelle a banana sbucciata dovevo inserire lo spiedino, operazione riuscitissima fino a quando non ho sollevato il tutto per sistemarlo sul set. Le rondelle, ben equidistanti, hanno preso a scivolare lentissimamente verso la base. Al mio tentativo di risistemarle l'hanno rifatto. Ormai il foro di origine dello spiedo si era allargato. E' seguita una serie nuova di fori con conseguente rotazione delle rondelle sull'asse spiedo, con tanti saluti all'allineamento, e l'inserimento di un secondo stuzzicadenti per rondella.
La scena successiva e di me che mi sto mangiando la banana suddetta e ad oggi non si è ancora vendicata col mio stomaco. Ci ho riprovato, tanto avevo cinque tentativi.
Il risultato migliore è quello qui sotto.



Lo scatto è il raw uscito dalla macchina. In post produzione ho assegnato il profilo fotocamera - avevo fatto una foto con il color checker prima - e aperto il file in photoshop.
Il passo successivo è stato pulire gli spiedini, ridare distanza alle rondelle e rifinire i toni. Per controllare che non ci fossero macchie impercettibili sullo sfondo ho creato un livello regolazioni dei Livelli e abbassato i medi. Ho scoperto macchie sul cartoncino e altre dovute al ritocco. Finita la pulizia il livello non mi serviva più.



Mettendo accanto le due immagini, quella di van der Steen e la mia, anche mia nipotina che stravede per me sceglierebbe la prima. Ho segnato i punti che ritengo essere motivo di un'immagine sbagliata.



Nell'immagine di van der Steen la buccia visibile non tocca il limbo, rendendo la banana stessa più leggera, diversamente dalla mia, che con i lembi della buccia in quel modo dà più un senso di appoggio, di fatica.
Le rondelle della prima immagine seppure non equidistanti mostrano una traiettoria precisa, una curva che non aggredisce, che spiega bene l"esplosione", cosa che non vedo nella mia, dove le rondelle si mostrano incerte su dove andare e quale profilo mostrare.
Il terzo aspetto penso sia il più importante: la mia immagine è volgare. Proprio a causa di una iperbole disordinata, di una sommità che punta in alto, l'associazione a stereotipi fallici viene facile. Quando me ne sono reso conto ho provato a far cambiare direzione alla punta col risultato di accentuare ancora di più quel concetto.
Devo però dire che non sono mai partito con l'idea di fare una copia perfetta della foto di van der Steen. Il risultato che ho ottenuto si sintetizza come ben disse Thomas Edison davanti ad un suo ennesimo tentativo andato a male:
Non ho fallito! Ho scoperto un altro modo per non raggiungere la meta.

Se a qualcuno vien da dire cos'altro nel mio scatto gli suggerisce l'idea di sbagliato, può condividerlo.

venerdì 3 settembre 2010

Lettera a me stesso

Mio caro, sono circa un paio di giorni che ti trascini un umore di quelli che pensavo facessero parte di quegli anni in cui pensavi di non essere in grado di fare un cazzo e che ti hanno fatto perdere giorni di entusiasmo e scavato i segni di quelle rughe che adesso inizianoa venir fuori. Il perché io lo so, diciamo che anche tu lo sai ma ci stai girando intorno e non lo vuoi dire apertamente. Ma visto che mi hai tirato in mezzo, facciamo questo partita a due e vediamo quello che ne esce. Comincio io...
sul voler andartene mi sembra sia la stessa storia, va bene qualche cosa è cambiato ma il nocciolo resta lo stesso. Quello che ti ttattiene non sono i legami e lo sappiamo, la situazione a casa non è un legame ma una scusa alla tua paura, ti ricordo che avevi la stessa paura quando dovevi lasciare il lvoro per fare il fotografo e non sapevi come dirlo e quali reazioni avrebbe portato. Sei rimasto quasi deluso che non è accaduto nulla. Vuoi paetire? parti allora, pianifica, informati, scegli ma non torturarmi più con questa storia dei legami. Problema dei soldi? Vent'anni di officina ti sono bastati a renderti capace a raccogliere anche gli escrementi delle formiche, semmai ci fosse bisogno di un lavoro del genere lo puoi fare, e non è che raccogliere escrementi deve poi diventare il tuo lavoro,: abbiamo parlato di trovare soldi per vivere. Sulla creatività. Daccordo qui il discorso è più complicato nel senso che che è talmente una cazzata che non so spiegartelo. Ti ritieni creativo? se si cosa ti manca? attrezzature? spazi? modelli? se pensi che sia questo allora non sei creativo e fattatene una ragione vediamo come risolvere. un suggerimento: inizia da qualcosa che già esiste e reinterpretalo, guarda che non è reato, non è vero che oggi vale solo l'idea figa, questa cavolo di accellerazione delle cose, del tutto bello, di volersi distinguere ci sta facendo perdere il sonno. Ad arrovellarti il cervelllo a trovare lo scatto giusto ti stai perdendo anche quello a portata di mano.
La lingua. L'anno scorso in spagna, un posto di cui non conoscevi la lingua, ti sei fatto 1300 km in macchina da solo, hai prenotato stanze in una lingua che non conosci, hai mngiato chiedendo cibo in un lingua che non conosci, chiesto informazioni in una lingua che non conoscie e porca puttana ci sei stato due settimane e sei sopravvisuto. Ora, ottobre è un anno che studi inglese. Rispetto allo spagnolo che era zero mi sembra che con l'inglese almeno a uno ci sei. Ma tanto non è uno, è di più ma vuoi un po' di coccole. Vaffanculo!
Dopo i legami, i soldi, la lingua a me sembra che argomenti forti con cui controbbattere non te ne sono rimasti molti.
Se poi il rumore di fondo che senti non è solo il voler andare allora deciditi anche su quell'altra cosa, che tanto anche lì sono solo motivi di comodo che hai. Non ho nient'altro da dire. Fammi una cortesia: fatti una risata e la prossima volta fa che ci sia una ragione seria.
Ah, se rileggi o sposti una virgola di tutto questo non ha proprio senso risentirci.

lunedì 23 agosto 2010

L'apprendista stregone

Sta accadendo qualcosa.
Ieri sono andato al cinema. La sala è stata chiusa per ferie e non c'era un granché da vedere altrove nelle settimane precedenti. Avevo voglia di poltrone e dell'aria secca del cinema. Poi non ho dovuto combattere molto con la mia infantile voglia di film per ragazzini, vince sempre lei. Alle nove e qualcosa ero in sala ad aspettare l'inizio de "L' apprendista stregone". I motivi che mi spingono a vedere questo genere di film sono validi perché efficaci su di me, magari un giorno lo spiegherò meglio.
Del film ormai ricordo solo qualche effetto speciale, ma qualcosa di più profondo si è insinuato dentro ed è successo mentre vedevo il film. Sì, qualcosa è in opera, la bolla sta muovendosi in cerca dell'esatta verticalità. Ho la mano che mi trema ancora, il corpo pigro, la testa sempre in guerra, gli occhi ancora da educare, ma va bene, vuol dire che mi sto muovendo e l' idea di una meta che prima mi ossessionava adesso mi spaventa sempre meno. Anzi comincio a pensare che non la voglio una meta, non quella scontata del raggiungimento professionale che rischia di tradursi in me in appiattimento e noia. E' la cosa che temo di più.
L'altra sera stavo cercando una scusa per non mettere in ordine dei file, di dormire neanche a parlarne, leggere con la lampada da 25w puntata nei pressi dell'orecchio sinistro a contribuire a farmi evaporare nel forno della mia stanza proprio non mi andava. Internet allora. Nell'intervista di Barbara Zonzin a Sara Lando il piacere maggiore credo di averlo provato scoprendo quel lato fragile che accomuna tutti quelli che la strada la percorrono in salita. Di persone che amano il proprio lavoro ne ho conosciute pochissime. Sono andato a letto tardissimo addormentandomi su quello che desideravo fare.
Mentre aggiornavo il sito stamattina, mi sono soffermato a rileggere la frase su "about me" dove "…ho scelto la fotografia come mezzo per comunicare". In realtà non lo sto facendo. Mettiamo da parte il lavoro, ma quella parte di foto che dico di "fare per me", quanto è vera? Finora ho scattato si ma cosa? Sono stato un mezzo, come le macchine che uso, ma quello che ho in testa l'ho mai trasformato in foto? Ho fatto ritratti, documentato eventi e storie da un paio di carceri, cartoline di viaggi, istantanee. Qualche settimana fa ho conosciuto Gaetano Lo Porto, un fotografo da un passato fotogiornalistico di tutto rispetto e che oggi si occupa di advertising. L'ho incontrato e intanto che presentavo me e quello che faccio mi sono reso conto che non riuscivo a esprimere il mio fotografare più intimo. La domanda del direttore Sandro Iovine perché si fotografa? pensavo fosse in me, grazie a questo episodio ho smosso di nuovo un po' di polvere. Nei giorni scorsi ho tracciato su fogli da notes schizzi di progetti che vorrei che prendessero luce.
Il progetto Insonnia credo sia stato veramente il primo. L'ho caricato sul sito non convintissimo che fosse concluso, ma non volevo neppure trasformarlo nella snervante ricerca della foto giusta. Dico che è stato il primo perché c'è stata una fase preparatoria, ho fatto degli scatti che mi servivano da studio, le trovate qui, mentre le vedevo e sceglievo i toni in post produzione mi sono accorto che la ripresa dall'alto avrebbe avuto più senso. Dovevo però risolvere il problema di come sistemare la macchina per inquadrare il divano letto dello studio dall'alto. Ho costruito un'asta sistemata su due stativi con un asse di legno comprata al brico e una piastra di metallo che ho saldato personalmente (e in modo terribile) nell'azienda dove prima lavoravo. Ho fatto anche foto e video del making of, per poterlo così condividere qui, e poi sono arrivati gli scatti. Negli studi avevo notato un particolare che sarebbe stato importante ripetere negli scatti ufficiali: l'effetto post dormita. Essendo lo studio nel centro storico e luogo fresco di suo, quando sistemai il set per gli scatti di prova fuori c'erano più di trenta gradi e il sole a ore tre del pomeriggio. La tentazione è stata forte e ho ceduto. Pisolino, che è diventata dormita che è degenerata in senso di colpa al risveglio. Però quel senso di fiacca mi ha aiutato a dare una parvenza meno finta alle immagini. Così quando ho riallestito il set per gli scatti con l'inquadratura sistemata mi sono fatto una sana dormita prima con buona pace della mia mala coscienza. Naturalmente un prezzo da pagare doveva esserci e io l'ho pagato in lucidità, dimenticando in uno spostamento del piano focale la cinghia della macchina appesa, finita giustappunto nell'inquadratura e rovinando una serie di 51 scatti di cui alcuni meritevoli. Questo è un avvertimento per quando finirò nel girone dei dannati per pigrizia.
Questo processo però mi ha entusiasmato. E come l'apprendista stregone ieri, comincio a desiderare di mettermi in gioco seriamente, meglio di prima. Dovrei avere ancora dei giorni più soft a disposizione, saranno utili.
Di seguito le quattro immagini di Insonnia, e ancora più in basso, forse, qualche vostro commento.






lunedì 26 luglio 2010

Sulla mia pelle



Non di rado mi capita di vivere situazioni in cui tutto sembra ruotare intorno ad uno stesso argomento, come se la macchina delle situazioni fosse sincronizzata a mio favore. Non che questo mi porti ricchezza e agio, insomma vivo sempre allo stesso modo, così come so che queste strane coincidenze alla fine tanto strane non sono, ma quando accade fa un certo piacere.
Avevo qualche settimana a disposizione, niente vacanza però. Così ho riempito questi giorni con progetti personali e studi. Tema: il mio corpo. Era giunta l'ora dell'autoscatto.
Quando si tratta di creare per me ho un personalissimo, e non credo originalissimo, modus operandi: l'ozio. L'idea allo stato embrionale era appunto il corpo - quello mio - ma dovevo dare forma a questa idea e concretizzarla in scatti, inquadrature, luce, concetto. Così ho fatto quello che non devo fare quando ho di questi momenti e cioè pensarci. Non credo mi vedrete mai con la testa appoggiata alle mani nell'atto di riflettere e partorire il lampo di genio. Facile invece che mi troviate a passeggiare per la città senza meta, a girare per centri commerciali e brico center senza comprare nulla, a osservare per ore la gente che mi passa vicino assumendo una faccia da idiota, ad andare al cinema o a teatro, a stare insomma in mezzo al mondo affollato, farmi bombardare da azioni, voci, ritagli di discorsi, suoni, "fotografie" urbane e viverlo come se fossi invisibile a tutto ciò. Poi aspetto che arrivi sera e torno a casa. Metto su una play list lunghissima di brani e, cuffie e disteso sul letto in posizione di rilassamento, con gli occhi chiusi, faccio partire iTunes.
Finora ha sempre funzionato e già dal quarto o quinto brano iniziano a materializzarsi immagini - dieci giorni fa record: a metà della prima traccia, un "Preghiera in gennaio" di De André, avevo chiaro un intero progetto - Così è nato "Insonnia" e in realtà molto altro ancora che deve essere fermato su carta e suddiviso. Naturalmente c'è una controindicazione a questo modo di fare ed è la perdita di controllo sull'ozio. In questa estate di calura poi il demonio è dappertutto. Sensi di colpa a parte credo di stare a resistere ottimamente. Sempre in questo periodo sto leggendo "L'uomo dei cerchi azzurri" di Fred Vargas e la descrizione del protagonista somiglia incredibilmente al mio modo di fare di questi giorni: pigrizia latente, intuito, le cose accadono. Stamattina poi avevo un solo appuntamento in studio e visto che il cliente ritardava sono andato a leggere il post su Fotografia: Parliamone di Sandro Iovine. Come sempre post interessante e catalizzatore di discussioni costruttive. Oggetto del post la scelta della copertina su foto della fotografa Debora Barnaba. Ho letto il post, i commenti e poi ho visitato il sito della Barnaba. Non ho idea del periodo di realizzazione del lavoro "Kissing" di Debora Barnaba, il mio "Insonnia" è freschissimo di giorni ma per quello strano fenomeno che dicevo all'inizio mi sono sentito elettrico, simile ad un punto in una fitta rete di collegamenti neurali che viene stimolato dal linguaggio comune della fotografia. Consiglio di leggere il post e relativi commenti. Durante gli scatti di Insonnia mi sono costantemente chiesto quanto potesse risultare volgare questo o quello scatto, quanto poteva disturbare ad un osservatore, quanto frainteso, ma avermi posto questi interrogativi non mi ha bloccato ne frenato o auto censurato. Ho l'impressione di capire il perché del lavoro di Barnaba semplicemente per un'affinità intellettuale, per il piacere di comunicare un'idea liberata da pregiudizi, costume, tabù, pudori ma, ahinoi, purtroppo ancora torturata. Le immagini di Debora hanno l'intelligenza della ricerca, la pulizia fatta di essenziale, il gusto femminile per il corpo femminile. Scatti privi di suono, di parole, a maggior ragione quindi urlano la propria forza. Una sua foto è spegnere i rumori del mondo, tu che ti giri a vedere cosa accade e trovare lei, che, con garbo, ti avverte del suo esistere.

Ps. Lo scatto in alto è un particola tratto dal progetto Insonnia, ancora da ultimare. Per le foto di Debora Barnaba dovete visitare il suo sito e quindi i suoi lavori. Non vi costa nulla, vi ho anche messo il link.

lunedì 21 giugno 2010

Sorprendimi

C'è stato un periodo della mia vita che mi sorprendevo per tutto. Un periodo lungo in realtà che reputo sia finito con la fine dell'infanzia. Il termine sorprendere tuttavia era molto di più rispetto al suo concetto letterale, tanto da includere affascinarmi, incuriosirmi, eccitarmi, commuovermi. Poi è accaduto qualcosa nella mia vita e parrecchio è andato perso. Lo ricordo solo se mi dedico il silenzio assoluto attorno a me e un bisogno poetico di rivivere quel tempo; quindi quasi mai. Era un altra era della mia vita quella e nel decennio fra i venti e i trent'anni ho spesso ripetuto a me stesso e agli altri che ormai non mi sorprendevo più un granché. Mi sa tanto che mi sono sbagliato. Quando la settimana scorsa ho terminato di leggere il libro di Francesco Carofiglio "L'estate del cane nero" una frase ha continuato a girarmi per un po': Quando si è piccoli si ha una percezione grande di tutto quello che ci circonda. Lo sapevo, come al solito ho ritrovato parte della mia infanzia anche in questo libro. Così ho riflettuto sulle percezioni e a come cambiano. Mi sa tanto che non ho mai smesso di sorprendermi, nel senso largo a cui mi riferivo prima. Non sarei qui, non farei quello che faccio. Sono cambiate le visuali e questo mi conforta in alcuni momenti e mi spiazza in altri. Vedo delle cose con occhi da adulto ora ed è un bene se mi commuovo davanti a delle foto che anni fa mi avrebbero lasciato indifferente, se mi incuriosisco osservando i lavori di artisti e ne godo, per quanto afferabile ora dalla mia "maturità" fotografica, della tecnica, della lettura.
Ieri ho lasciato un commento sul blog di Settimio Benedusi riguardo a delle foto che avevano suscitato il mio interesse sebbene il soggetto non goda del mio entusiasmo.




Nello stesso giorno, a distanza di qualche ora poi, scopro il lavoro di Lorenzo Poccianti e per me che ho avuto una fase precedente alla fotografia dove mi sono appasionato di pittura e disegno non potevo non sorprendermi. Pocciani realizza quadri, che sono fotografie, che sono quadri. Non so spiegarlo diversamente. Avevo incontrato sul web qualche tempo fa altri che si cimentano in una cosa simile ma Pocciani mi ha stupito per precisione e gusto. Ricrea ambienti che passano da Klimt a Lempicka, solo per citarne i più conosciuti, con una cura sorpendente per i tessuti con cui veste i suoi modelli, i cui modelli sono in buona parte famiglie nobili e in alcuni casi discendenti loro stessi dei soggetti dipinti nelle opere originali. Mi hanno lasciato con qualche perplessità alcune opere morte di moderna interpretazione, credo però sia dovuto al fatto che non amo le nature morte in sè.
Penso che un giretto sul suo sito valga qualche minuto di tempo.



Ritornando a quello che dicevo in principio... è bello scoprire di potersi ancora sorprendere quando tutto sembra ripetuto e limitato, come oggi, inizio ufficiale dell'estate con una pioggierellina fuori dello studio a ricordarmi quanto sarà tiepido il dopo-studio.

martedì 8 giugno 2010

Clone me, please!

La parola d'ordine in questo periodo è correre. Mio malgrado. Si perché da un lato sono convinto che sia giusto aspettare i tempi fisiologici di una attività che deve crescere, lavorare con costanza nel rispetto soprattutto della propria professione, dall’altro il fattore tempo mi è nemico. Nel percorso che sto affrontando devo imparare a relazionarmi, con clienti e colleghi (quest’ultimi tra l’altro in alcuni casi recenti mi stanno spingendo a cambiare approccio, rendendomi anche quello che non sopporto essere: cinico), trovare lavoro in un contesto economico sfavorevole e uno sociale (la realtà del mio paese) culturalmente non ancora preparato. A ciò, lo dico perché non mi va di addossare la colpa sempre sugli altri, devo esercitare una forte pressione sul mio essere pigro e con voglie da onnipotente per raggiungere uno stato di (almeno) apparente tranquillità mentale. Sono onesto, pensavo sarebbe stato un pochino più facile.

Nei primi mesi ho dato la colpa al denaro. Mi dicevo che per i progetti che volevo realizzare erano necessarie attrezzature e budget che non possedevo, così scrivevo su block notes le idee creative che affollavano la mia massa grigia e promettevo a quel mio piccolo genio fatto di neuroni che quel progetto era solo rimandato. Ne ho rimandati parecchi. Poi mi sono anche convinto che a rimandare sempre la creatività ne risente fino a non “creare" con tanta efficacia nuove idee. Diciamo che ancora ci credo.

Negli ultimi due mesi però ho letto molto (di fotografia) e lavorato poco (di fotografia). Ho spostato di qualche buon grado la mia visione. Per i progetti creativi non servono budget costosi, è chiaro che per quelli super strafighi qualche soldo non guasta, ma la verità è che si possono ottenere ottimi risultati anche con pochi euro. Dimentico in continuazione che la più grande risorsa economica a portata di mano in realtà è a portata di testa, ci sta dentro ed è quella massa di connessioni che dicevo prima. Nei blog che seguo scopro, al di là dei vari fotografi, designer, giornalisti, photoshoppisti, persone che mi insegnano molto, e chissà se hanno la dimensione di quanto sia importante quello che scrivono condividendolo. Nelle ultime settimane Sara Lando è motivo di attenzione e insegnamento. Avevo iniziato a seguirla qualche tempo fa con curiosità ma non c’è giorno adesso che non vado nei feed di google reader a cercare un suo nuovo post. Vale lo stesso per tutti gli altri che ho nei preferiti. Così la mia vita attuale ha sottratto tempo alle letture cartacee e romanzesche dei libri sullo scaffale a favore di quelle digitali e (mono) tematiche della fotografia. Solo la settimana scorsa, in uno di quei miei momenti folli, e per fortuna solitari, dove mi auto commemoro, alla domanda del mio interlocutore coscienza “Quante ore passi davanti al computer?” ho risposto con sorpresa dalle 10 alle 12 ore al giorno. Qui mi sono fermato. Ca##o è tanto! Non lo so, voglio dire che è tanto che una persona stia davanti ad un monitor ma se davanti a questo monitor si studia, ci si forma, si lavora, si legge, si guardano i film (non guardo televisione da anni, ho il mio bel imac 27 pollici e mi stragodo i film persi al cinema con le cuffie a palla) quelle ore hanno un peso diverso. O no? E per non farmi mancare nulla a questi due pesi ne aggiungo un terzo: “ Ma quanto tempo ti resta da dedicare alla Fotografia?” Ho scritto con la effe maiuscola apposta per intendere l’atto concreto dello scatto. Da quando ho aperto partita iva credo di scattare almeno il 40% in meno.

No, non è così che la immaginavo la mia vita da fotografo. Pensavo che da professionista avrei avuto il tempo dalla mia parte. Siamo in movimento continuo, l’ho persino scritto qualche post fa, e cavalcare questo movimento è faticoso. Leggevo stamattina su Jumper.it che una parte della fotografia (quella italiana è ancora agli inizia ma realtà come la germania, l’inghilterra e la stessa america ci navigano da un po') sta sempre più abbracciando e sviluppandosi nel 3D e se non ci si informa si rischia di arrivare impreparati. Questo non vuol dire che tutti i fotografi debbano studiare la modellazione 3D, ma sapere a cosa si va incontro si. E di qui una nuova serie di letture, potenziali incontri o workshop e tanto altro ancora. Ora, per quel dettaglio dell’onnipotenza di prima, io a queste faccende ci vado dietro perché ci credo e ci voglio essere, ma le foto? Quanto tempo mi resta per FARE foto? Gli investimenti che occorrono viaggiano su due binari divergenti che fatico ad allineare: spazio-temporale ed economico. Il primo mi porta formazione e conoscenza, ma ci voglio risorse anche economiche (i jumper camp ad esempio si svolgono a milano e so bene cosa sacrifico sia andandoci sia non andandoci). Il secondo, lo sappiamo bene, ci aiuta a vivere. Mi sa tanto che se per la fine dell’anno non raggiungo il potenziale per permettermi un assistente mi faccio clonare. Scherzavo! Sulla prima cosa intendo, il clone lo voglio davvero!

lunedì 31 maggio 2010

Beati siano i filtri!

Due settimane fa, dopo aver fatto degli scatti ad uno spettacolo teatrale, è accaduto che la borsa con denro la macchina fotografica mi sia scivolata dalla spalla finendo sul marciapiede. Non ho dato importanza all'accaduto perché la botta non mi sembrava giustificare un qualsivoglia allarme. Quando sono rientrato a casa volevo scaricare la scheda e mettere al sicure i file. Prendendo la macchina ho sentito un suono di vetri rotti che non mi spiegavo. Ho realizzato in una frazione di secondo e con una lentezza assurda ho tolto il tappo dell'obiettivo. La lente del filtro era rotta in più punti e i cocci, incastrati nell'anello, cercavano una via di fuga. Mi sono seduto e credo di aver iniziato a parlare da solo. In realtà pregavo. Dovevo togliere i frammenti del filtro per vedere se anche la lente dell'obiettivo aveva subito danno. Per mia fortuna era intatta. Ho benedetto il filtro, che mi ha salvato un 24/70 serie L della canon. A distanza di due giorni mi aspettavano dei lavori importanti e sarei stato davvero in difficoltà in assenza della lente. Solo oggi, grazie all'aiuto di una amico orafo e dei suoi strumenti di precisione, siamo riusciti a rimuovere la ghiera del filtro che, deformata dal colpo ricevuto, non ho tentato di svitare da solo quella sera per timore di peggiorare la situazione. La settimana scorsa poi ho aiutato un mio amico fotografo durante un servizio matrimoniale e nel pomeriggio la sua lente ha dato forfait. Mentre lui malediceva divinità a me sconosciute mi sono ritrovato a pensare a cosa sarebbe successso se non ci fossi stato io, ma soprattutto se una cosa del genere fosse capitata a me e mi fossi trovato da solo.
Proteggere la propria attrezzatura è indispensabile, ma salvaguardarsi da eventi non controllabili dovrebbe essere prioritario. Per questa ragione ho munito le mie lenti di filtri sin dal loro acquisto e per i lavori importanti fuori sede non trascuro mai di portarmi, oltre ai due corpi macchina, anche una Powertshot che all'occorenza può salvarmi le penne da figuracce.
Beati siano i filtri!

mercoledì 12 maggio 2010

Sul perché usare Photoshop.



Photoshop è uno strumento magnifico, non un arma di distruzione di massa.
Quando fu inventata l'automobile nessuno, forse, pensava che potessero diventare potenziali strumenti di morte, come accade in caso di incidente. Lo stesso vale per il più importante strumento di fotoritocco. L'uso dal mio punto di vista è legittimo.
Mi è capitato spesso di sentirmi dire, davanti a delle mie fotografie, se per caso le avevo ritoccate. Che significa? A me non verrebbe mai di dire ad una donna che mi sta difronte e che trovo piacevole se prima di uscire si è truccata. Non ha senso. Mi piace quel risultato che ho difronte in quel momento. Stessa cosa per la foto: se mi piace ha davvero importanza che sia stata ritoccata o no. Non voglio entrare nello specifico della fotogiornalismo, quello è un settore a parte. Ma tutto il testo può starci.
Ho conosciuto persone che pur di non usare photoshop hanno archiviato migliaia di file in hard disk che nessuno vedrà mai, per cosa poi, per sentirsi dire, se capita, di aver scattato la foto perfetta senza ritoccarla. ma per favore! A queste persone mi verrebbe da rispondere se sono mai stati o se sanno come si lavorava in camera oscura. Quello che fa oggi photoshop lo si faceva prima con la pellicola, solo che oggi si ha uno strumento più potente. La mascheratura, le curve, i viraggi, le vignettature e persino i ritocchi minuziosi sul negativo fatti da mani precise e scrupolose erano una consuetudine. Ammetto che possono esserci dei limiti, i limiti del buongusto, che spesso si fanno passare per creatività o arte.
Una cosa che non riesco più a sopportare ad esempio è vedere la pelle delle donne come delle bambole. Fossero le immagini di Oleg Duo o Christophe Gilbert o altri artisti, tanto di cappello, ma basta col rendere la pelle di marmo sempre e a chiunque. E a proposito di questo, se davvero volete ritoccare un viso e lasciare la sensazione di naturale bellezza, cercate di non cancellare i pori. Un altro tipo di foto di cui non ne posso più è vedere ritratti in bianco e nero con i soli occhi lasciati a colori: qualche anno fa era bello, ora lo può fare pure mio nipote ed è straordinario quanto i fuochi d'artificio ad una festa di matrimonio. Per chi poi ama scontornare l'immagine della propria fidanzata e inserirla su una spiaggia paradisiaca, o chi utilizza tre o più filtri in ordine casuale e vediamo quello che esce (tipo acquerello, solarizza, texture, gradienti), o ancora chi non sapendo di quali colori sono fatte le cose gli danno una personale identità, a queste persone mi viene da dire che se siete arrivati fino a questo punto allora potete fare molto molto di più.

venerdì 16 aprile 2010

in movimento


E' difficile mantenere la propria identità fotografica? Per me lo è senz'altro. La frase "bisogna trovare il proprio stile" mi ha sempre spaventato. Questo pressupone innanzitutto uno studio sincero, la sperimentazione e la ricerca sono basi importanti e richiedono tempi di approfondimento a volte lunghi. Già questo potrebbe bastare a mettermi in ansia... La mia vera difficoltà però sta nell'accettare di aver raggiunto uno stile, perché significherebbe limitarsi ad una direzione delle proprie capacità. Non passa giorno che non abbia visto foto e scoperto nuovi fotografi. Confrontarmi con altri mi aiuta, mi dà le coordinate per capire in quale punto della mia crescità mi trovo. Lo svantaggio in tanta conoscenza altrui è recepire tanti stili e spesso lontanissimi ma altrettanto interessanti. Anni fa, quando la fotografia era lontana dall'essere la mia professione, eseguivo dei lavori di post produzione per un fotografo. Lo spazio era un soppalco-magazzino ricavato sopra la parte di attività destinata al pubblico, potevo sentire i clienti che entravano e le loro conversazioni ma loro non sapevano della mia presenza; la sola luce che volevo concedermi era quella del monitor, per non avere dominanti che interferissero e per concentrarmi solo sulle foto. Lavoravo di photoshop su foto di matrimoni, ed è stata una buona palestra. Dopo un anno e mezzo ho lasciato. Ero diventato bravo ma a danno della mia visione fotografica. Ormai vedevo le foto tutte allo stesso modo: questi colori romantici, atmosfere poetiche, biaconeri eterei e luccicanti. Mi ha spaventato un episodio in particolare, quando elaborando degli scatti miei di reportage gli ho trasformati in scandalose foto da matrimonio. Non avevo più la misura di quello che ero. Ho detto al fotografo per cui lavoravo di desidarare un mese di pausa per disintossicarmi da tutto quel miele. I mesi sono diventati anni: percorsi naturali. Ogni volta che penso di raggiungere uno stile, o meglio che è importante che io lo raggiunga, mi torna in mente quel periodo della mia vita. Mi fa paura dover prendere una direzione e poi doverla seguire. Mi hanno definito in due occasioni "spirito libero" e a dirla tutta questa frase mi piace. Ogni giorno, quando guardo le foto di altri fotografi, mi rendo conto che mi piacerebbe poter sperimentare ora quello stile, ora l'altro; precludermi le infinite possibilità artistiche a favore di una sola visione stilistaca mi rende nervoso ed è frustrante. Lo è poi in misura maggiore quando devo decidere di sottoporre dei mie lavori su siti web. Spesso nei form da compilare ti devono inserire in una categoria - li capisco, per carità, non è una critica alla procedura - ed è qui che inizio a leggerle tutte per trovare quella che mi appartiene. A volte la trovo, altre no.
Ho da poco scoperto i lavori di bravi fotografi, giovani, pieni di cose da "dire". Guardare le loro foto mi ha permesso di riflettere sul mio percorso e sulla mia direzione. E' la strada che mi piace, non il luogo da raggiungere. Voglio essere in movimento.

martedì 30 marzo 2010

Dopo il Photoshow














Domenica sera sono rietrato dal Photoshow 2010 con poche nuove e qualche conferma. Naturalmente il photoshow è una fiera ed è quindi accettabile che si parli non della Fotografia ma di "come" fare la fotografia. Questa edizione è stata allestita nei nuovi padiglioni della zona fiera: una struttura più capiente rispetto a quella precedente, con tre ampi spazi, due dedicati al nuovo ed uno all'ormai presente mercatino (o meglio mercatone) dell'usato.
Ho cercato da subito le cose che mi interessavo per poi dedicarmi con calma alle mostre e curiosare. In realtà le foto esposte hanno catalizzato molto la mia attenzione e solo sul tardi ho incontrato chi volevo. Erano esposte delle foto di Francesco Zizola su un reportage in Africa; il formato delle foto era notevole, tra il 50x70 e il 60x80 senza passepartout. Ho poi scoperto fotografi nuovi e di ritorno a casa ho cercato informazioni su di loro e i loro lavori. Interessante quello di Gerry O'Leary; le sue foto di archiettura sono pulite, sature di colori, precise, non da meno quelle d'aspetto commerciale, dove il colore è il vero protagonista. Suggerisco una visita al suo sito fosse, altro per vedere delle belle immagini. Accanto ai due più grossi marchi della fotografia mondiale erano allestite le mostre dei vincitori del concorso Giovani Talenti per Canon e una serie d'immagini di fotoreporter del gruppo NPS per Nikon. Ho notato con piacere, grazie alla nuova sede, un più ampio respiro degli spazi dedicati alle moste (sempre in minoranza tuttavia rispetto all'aspetto commerciale), con la nota stonata però di una confusione della disposizione degli spazi stessi; infatti molte foto erano nascoste e il percorso dell'osservatore era uno zigzagare continuo e senza un verso unico. Piacevoli invece le due pareti dedicate a Massimo Sestini e al suo "Privacy, no grazie". Sul suo sito trovate oltre alle sue foto anche quelle di altri fotografi che fanno parte del suo gruppo di collaboratori. La foto che ha catturato la mia attenzione più di tutte è invece opera di Giogio Scala. Ho cercato notizie su di lui ma non ho trovato molto, o non ho cercato bene. Spero di riuscire a trovare altri suo materiale.
Nello stand della Polaroid era presente il testimonial ufficiale polaroid Maurizio Galimberti, che mi ha regalato una dimostrazione personale del suo genio. Galimberti non ha bisogno di presentazioni, ha creato uno stile e i suoi lavori sono esposti in tutto il mondo.
Nella barra dei link aggiungo i nomi dei fotografi presenti in questo post per tutti quelli che sono curiosi di visitarli. Seguono alcune foto che ho fatto domenica al photoshow.

01 - La parte esterna dei nuovi padiglioni della fiera.
02 - L'interno del padiglione 6 visto dall'alto.
03/04/05/06 - Alcuni spazi dedicati alle mostre
07 - Due foto di Francesco Zizola
08 - Foto di Gerry O'Leary
09 - Foto di Giorgio Scala
10 - Spazio dedicato a Massimo Sestini
11 - La calca di fotoamatori in uno degli stand con modella

martedì 23 marzo 2010

Photoshow 2010

Per tutti gli appasionati di fotografia, ma anche per gli addetti ai lavori, dal 27 al 29 marzo 2010, nella Zona Fiera di Roma si svolgerà il Photoshow 2010. Molti espositori per toccare con mano le ultime novità e tendenze del mercato fotografico, set allestiti per prove, incontri con adetti del settore per scambiare ideee e opinioni e altro ancora.
Suggerisco anche di non tralasciare la visita delle mostre che sono sempre presenti all'interno dei padiglioni, mostre che meritano di essere guardate con attenzione isolandosi per un po' dal contesto folkloristico della manifestazione. Per tutte le informazioni sul Photoshow 2010 clikkate qui; preregistrandovi al sito potrete stampare un coupon che vi permetterà di pagare €1 anziche gli €8 previsti alla cassa.

sabato 20 marzo 2010

About PensieroFotografico

Il titolo del blog è un tantino altisonante, lo ammetto. Ma mettendo da parte filosofie e concetti forbiti, ritengo che PensieroFotografico sia genuino nella sua semplicità. Dopo il titolo viene da chiedersi: Perché un blog? Un'altro? Si, un'altro. Aprire e gestire un blog oggi è diventato utile e anche necessario come imparere una nuova lingua. Il linguaggio informtico ha prevalso sull'inglese, la lingua ritenuta comunicativa a livello mondiale. Conoscere gli strumenti messi a disposizione da internet permette di essere in contatto con il mondo, di condividere, imparare, incontrare, scoprire, relazionarsi. Nessuno direbbe ad una persona che sta imparando l'inglese " Ecco! anche tu impari l'inglese!", perché dunque soffermarsi sul perché di un nuovo blog. Ad un certo punto poi ho sentito la voglia di "parlare" di fotografia. Il digitale ha aperto una nuova era, ma non senza procurare notevoli danni collaterali. La creazione di strumenti fotografici con automatismi sempre più raffinati e "facciotuttoionontipreoccuparescatta" ha massificato il pensiero, facendoci dimenticare che non è lo strumento che fa la foto, ma l'uomo che c'è dietro. Abbiamo perso il senso dell'etica fotografica in ragione dell'arroganza fotografica, siamo suscettibili di privacy e timore davanti ad un obbiettivo quasi si trattase di un'arma, collezionamo migliaia di file in hard disc e sono tutte foto che nessuno vedrà. Allora se diamo ragione al famoso paradosso dell'albero (Se un albero cade nella foresta e non c'è nesuno ad ascoltare, quell'albero ha fatto rumore?) tutto quel materiale fotografico non esiste, e se non esiste, perché facciamo foto?
Ognuno trovi la sua risposta.
In questo blog spero di poter trasmettere il piacere della fotografia così come la vivo io, con entusiasmo, critica, attenzione e rispetto. Inoltre ritengo che un bravo fotografo non debba essere semplicemente un conoscitore della tecnica, bensì un attento osservatore, capace di saper spiegare le proprie foto, essere in grado di scrivere una didascalia esaustiva che accompagni la foto stessa, criticare i propri scatti con severità, avere come riferimento i grandi nomi dela fotografia ma non sdegnare le foto amatoriale che spesso, proprio perchè prive dei meccanismi tecnici di dottrina, sono stimoli importanti. E' chiaro che si può scegliere di continuare ad essere il fotografo della domenica, senza avventurasi in questo vasto mondo, e lasciare ai vogliosi il percorso.
Nella parte sinistra del blog trovate i link utili, nomi importanti della fotografia che meritano più di un'occhiata, siti dove vedere fotografie, collegamenti a pagine web che riportano informazioni su legislazione, bandi, mostre, curiosità. Sono link in costante aggiornamento e a chiunque abbia da suggerire ne sarei felicissimo. Naturalmente, i commenti e le critiche a quanto da me detto sono più che benvenuti.